domenica 4 agosto 2013

Tempo n'è passato

Come spesso succede passo il mio tempo a pensare a quello che sono e ai motivi che mi hanno portato a diventare così.
Ultimamente mi è capitato di soffermarmi spesso a riflettere sulla mia ultima fase di vita, quella che va (grossolanamente) dal 2008 ad oggi, cioè da quando, stipendio permettendo, ho ottenuto una fonte di sussistenza sufficiente per vivere per conto mio, in un appartamento di sessanta metri quadri circa e con dei vicini di casa stronzi quanto basta.
Il vivere da solo rispondeva ad una mia precisa esigenza che però ho sempre faticato a contestualizzare, come tutte le cose che arrivano dal profondo faccio fatica a capire esattamente da dove traggano spunto, energia vitale.
Me la sono spiegata in tanti modi, come la risultante del mio carattere schivo, timido alle volte, come la via più semplice per farmi gli affari miei, come l'occasione per potere fare quello che voglio ecc...
Sono tutte un po' vere queste cose, ma, da qualche tempo si profila quella che forse è la versione più convincente del "perché adoro vivere nel mio appartamento" e cioè il rapporto con i miei genitori.
Con loro le cose sono cambiate da parecchio ed anche questa è stata la naturale evoluzione di un rapporto che non c'è più da molto tempo.
Mia madre con tutta la sua carica di perbenismo e di incoerenza, con la costante necessità di mostrare una perfezione inesistente, mostrare e dimostrare cose che agli altri non interessano minimamente, se non di facciata.
Mio padre con tutto il suo silenzio, con la sua rabbia che si caricava e che esplodeva puntuale e stereotipata sempre in certe occasioni, precisa e prevedibile come i rintocchi di una campana.
Si tratta solo di un modo rapido per descriverli, sono in realtà estremamente più complicati, ma più passa il tempo e meno mi interessa descriverli e meno mi interessa il rapporto (quantomeno strano) che esiste tra di loro.
Quello che ora mi ritrovo in mano di tutto il tempo passato con loro è la voglia di starmene per i fatti miei, la voglia di starmene abbastanza lontano da tutti, abbastanza per essere libero, o almeno per sentirmi tale.
Abbastanza per sentirmi lontano dai ricatti delle persone che ti stanno vicino e che dicono di volerti bene.
Eccola lì la risposta allora. Ecco il perché della solitudine, dello stare da solo, fondamentalmente la paura (e lo ammetto) della privazione della libertà, la paura che la persona vicino possa sfruttare questa vicinanza come ricatto, come: io ti do se tu mi dai.
In definitiva è così che sono stato abituato.
E' dal 2008 che questo processo ha preso piede con una consapevolezza mano a mano maggiore con la voglia di rendermi indipendente da questo modo di vedere le cose, con  la voglia di essere sempre più libero.
sempre messo che questo significhi ancora qualcosa
charlieboy