lunedì 8 dicembre 2014

slow motion

Che sarebbe stata una notte lunga me ne sono accorto subito.
Dal momento in cui ho spento la luce e ho preso consapevolezza del silenzio che mi circondava.
Il silenzio mi apre una voragine quando i pensieri viaggiano così veloci, quando mi trascino ferito.
Tutto si dilata, il tempo, il momento tra un battito cardiaco e l'altro, le lettere delle parole... fino a rendere tutto incerto, insicuro, incomprensibile.
Girare in tondo, eternamente, senza arrivare mai a niente, mai da nessuna parte, dalla coda un nuovo inizio, e via così.
La notte diventa insopportabile, tutta questa lentezza, questa calma, questa assenza di movimento.
Quando i pensieri viaggiano così rapidi mi trovo a bere tisane, ad alzarmi in piedi ad orari strani a provare combinazioni a vuoto di pugilato.
Ed è tutto inutile.
L'equilibrio si disintegra per provare quell'inquietudine che mi aveva abbandonato da tempo.
Quell'inquietudine che mi ha sempre fatto paura, che mi ha sempre fatto soffrire.
Ci provo a razionalizzare ma la ruota, dentro, gira sempre. Pensarci su non la ferma, semmai la rallenta.
Sapere a che cosa si va' incontro. Sapere del dolore, della sofferenza.
Sono stanco e ho le lacrime agli occhi.
E poi ricominciare di nuovo tutto daccapo, con attrezzi sempre più logori.
Intravedo la "felicità", intesa come semplicità, e mi pare di essere solo, ancora una volta, nel desiderarla, nel condividerla.
Sono sempre più convinto che basti poco, tanta onestà, su tutto e mi sembra che costi troppo.
Però mi brucia dentro.
Non sono capace di fare diversamente ma non ho il coraggio, adesso, di pensare alla solitudine, ancora una volta.
ho paura
charlieboy

P.s.
non vedo l'ora che arrivi il giorno.


martedì 23 settembre 2014

Coprolalia #2

Di fatto ho tutti gli elementi per poter scrivere: coprofagia #2 .
Le stesse situazioni lavorative, gli stessi scontri peraltro (e purtroppo) con la stessa persona.
Come sul ring.
Peggio però, perchè sul ring almeno ci sono delle regole.
Qui invece vale, quasi, tutto.
Bassezze, falsità, finzione, il tutto frammisto ad una semplice domanda: "Perchè quella persona è lì? Con quale diritto? Con quali titoli?".
Se uno si pone queste domande è ovvio che, probabilmente, sotto sotto qualcosa ci cova.
In Italia (forse anche dalle altre parti) conta ancora essere "amico" del vescovo, essere attaccato alla sottana del prete, essere in massoneria, nei Laions o negli Arrotaty (errori voluti).
E' come se, in se e per se, le competenze, l'impegno e la professionalità non bastassero.
Come se ci fosse bisogno, sempre e comunque, di qualcos'altro.
Giusto l'altra sera, prima del casino e delle varie tirate di orecchie ricevute guardavo uno dei tanti programmi di giornalismo d'inchiesta.
Parlavano di un problema specifico, il trasporto pubblico, ma a ben vedere, la verità sottesa, almeno ai miei occhi, a queste argomentazioni (che valgono quanto le altre) è sempre quella: "se i vertici, se i dirigenti facessero il loro lavoro, certe situazioni non esisterebbero".
Io per lavoro mi trovo troppo spesso a dover derogare dal regolamento e questo per carenze croniche di personale e alle volte di strumentazioni.
Ciò arreca rischi ed esponi chiunque ad una possibile ripercussione di natura legale.
Se i "controllori" informati della situazione svolgessero il loro ruolo creerebbero strategie di uscita, permetterebbero alle "lamentele" di andare verso l'alto, cioè di seguire il loro flusso fisiologico.
Invece le "lamentele" (giuste o meno) ristagnano nei bassifondi (dove lavoro io), i vertici piazzati da qualche altro "vertice" se ne stanno buoni e non rompono i coglioni a nessuno proprio perché ciò è stato stabilito a priori.
"Io ti piazzo lì, però poi non devi rompere il cazzo".
"Quindi tieni buoni tutti, prometti prometti e non fare mai nulla".
La cosa che mi stupisce è che pare che per trovare questo atteggiamento ci sia bisogno di andare in Parlamento.
Balle.
Basta andare in comune, all'università, in ospedale, in biblioteca, all'archivio di stato...
Le dinamiche sono sempre le stesse.
I problemi, con le possibili relative soluzioni, si arenano sempre ai livelli più bassi.
I dirigenti hanno altre cose cui pensare, tra le quali nominare delegati per diluire le responsabilità e che vengono sottoposti allo stesso tipo di ricatto: "io ti do, però poi non devi darmi pensieri".
E via così.
In una spirale che vede i livelli dirigenziali più bassi sorbirsi tutto ciò che non va.
Ecco come la democrazia è stata svuotata del suo significato.
Ecco come impedire a chiunque di svolgere, nel pieno delle sue funzioni, il proprio dovere.
Forse tutta questa "stabilità"
non ce la meritiamo proprio
charlieboy

martedì 16 settembre 2014

arrampicando

Arrivati a destinazione prepariamo in silenzio il materiale.
Mezz'ora di cammino nel bosco, poi una radura, poi ancora bosco, poi una radura.
Spuntiamo esattamente sopra alla parete.
Butto un occhio 200 metri più in basso e penso che non ci riuscirò.
Scendiamo lungo un angusto canale. In mezzo un piccolo ruscello.
Intorno vegetazione cresciuta nonostante il percorso sia parecchio ripido.
Arriviamo alla base della parete.
Un ghiaione ci porta sotto all'attacco della via.
Il mio compagno di cordata parte.
Movimenti all'inizio grossolani e mano a mano più convinti e precisi.
Per quello che ne so (e cioè poco) nell'arrampicata i primi 10 metri di ascesa (per me) sono sempre i peggiori.
Lui sbuffa un po', sbatte le mani, il freddo della roccia intorpidisce le dita e i polpastrelli sembrano diventare di plastica.
Le prese non sono mai sicure e non si capisce mai se la mano terrà o meno.
Scompare sopra un salto di roccia.



Dopo un po' sento strattonare la corda. Posso partire.
Infilo le scarpette.
Sento la paura salire su, dal basso verso l'alto, esattamente come la direzione che dovrò seguire nelle prossime 3 ore.
Salgo un metro e mezzo, non di più.
Sento una paura forte.
Mi blocco.
Le gambe tremano. Respiro.
Cerco le prese.
La roccia sembra piena di asperità ma niente che mi convinca.
Eppure il mio compare è passato proprio di qua.
Rimango forse 10 minuti nello stesso punto.
Non vado ne avanti ne indietro.
Penso che ancora una volta ha vinto la paura.
Che, esattamente come l'anno scorso, dovrò abbandonare a pochi metri da terra.
Poi prova a prenderla in modo diverso.
Invece di "farmi coraggio", lascio che la paura fluisca, faccia il suo corso, mi faccia trovare una soluzione, anche se questa può significare: ritirata.
Provo a spostarmi sulla sinistra, un traverso di due metri non di più.
Sotto di me sempre 1 metro e mezzo. Nulla di più.
A sinistra salgo con un piede, poi l'altro.
Le mani, ancora fredde trovano prese che mi convincono, che sì, quel passo si può fare, che posso salire ancora un po'.
Stacco il primo rinvio.
Guardo verso l'alto.
Mi pongo l'obiettivo di andare a staccare il rinvio successivo.
Cinque metri, forse.
Lo sgancio.
Poi un altro rinvio, poco più in alto.
La sequenza di prese mi obbliga a caricare la gamba sinistra e a cercare quello che sembra un bello spuntone di roccia da prendere di rovescio.
Quel pezzo di roccia in mano mi da sicurezza.
Salgo ancora e non guardo giù.
Non mi interessa sapere di quanto sono salito.
Piego sulla destra, la roccia si inclina, diventa meno ripida.
Vedo il mio compare.
"Pensavo non arrivassi più" esclama.
"Mi sono incartato a 1 metro e mezzo da terra" rispondo sorridendo e con il fiatone.
Arrivo in sosta.
Riparte.
E poi di nuovo io.
Salgo verso l'alto ed è come si mi ci abituassi.
Come se diventasse tutto normale, naturale.
I movimenti ora sono precisi ed armonici.
Il freddo dell'inizio è passato.
Le manovre fatte con la corda sono ora molto più rapide, come se avessimo adottato un "metodo comune".
Arrivo alla fine, 200 metri più in alto ed è un po' come si mi dispiacesse.
Lascio la paura attaccata alla roccia e mangio focaccia e speck.
Parliamo del più e del meno in una strana atmosfera rilassata.
Poi, senza dire niente, prepariamo il materiale e torniamo alla macchina attraversando il bosco superato in mattinata.
Tanti funghi e pure tante betulle.
La mattina non me n'ero neanche accorto.
Al bar, in paese, due birre cadauno che mi sono sembrate buonissime.
In macchina, di ritorno per i fatti miei, uno strano senso di leggerezza che avevo già provato 3 anni, in occasione della "prima" in parete.
Questa la colonna sonora. ( https://www.youtube.com/watch?v=VerK4zwMRQw - Kate Bush. Hounds of love)
una bella giornata
charlieboy

giovedì 11 settembre 2014

analisi

Mi sono riletto, per curiosità, i primi post.
Era il 2011. Il primo post è del 28 Agosto. L'ho scritto qui, più o meno nell'identica posizione in cui mi trovo ora.
Ai tempi avevo finito da circa un mese un periodo di psicoterapia.
Ne sentivo il bisogno e mi trovai contento della decisione.
Rileggo i primi post e scopro certe parole chiave che poi sono tornate fuori, negli anni a venire.
Interessante, mi viene da pensare.
Quel periodo ad analizzarmi è paragonabile al sasso tirato in uno stagno.
Ho perturbato il sistema, la superficie dell'acqua ha iniziato ad incresparsi, ha iniziato a muoversi.
Già, il movimento.
Per questi anni ho continuato a lanciare sassi nello stagno.
L'acqua è ancora in movimento.
Chiaro che ha la sua inerzia ma lo stagno brulica ancora di vita, di prospettive e anche di cose che mi fanno paura, tanta paura.
Il blog ha compiuto 3 anni.
Il proposito scritto al di sotto del titolo è stato rispettato. 
Ho continuare a lavorarci su di me.
Non ho smesso di dialogare, di provarci a capire qualche cosa di più.
Il percorso è stato lungo ( e sarà lungo) e, finalmente, ho trovato un punto intermedio, una di quelle cose che ti fa esclamare: "Ecco, adesso ci siamo".
L'ho capita, finalmente, quella parte di me che genera buona parte delle cose che mi fanno soffrire ora.
L'ho trovata la parte che mi fa restare da solo, che non mi fa rispondere al telefono, che mi porta a schivare quasi tutto.
Domani ricomincio.
Ricomincio con l'analisi.
Ho bisogno di una mano.
E sono tanto stanco di provare vergogna.
charlieboy

sabato 23 agosto 2014

agosto

Finisco di lavorare un'ora e mezza dopo l'orario stabilito.
Esco ed è tutto buio. Cazzo il tempo passa e in un luogo senza finestre si immagina che fuori ci sia sempre il sole. Peccato.
Faccio per andare a recuperare il mezzo.
Mi ricordo a metà strada che invece al lavoro, oggi, ci sono andato a piedi.
Volto i tacchi.
Mi dirigo all'uscita.
Passo la sbarra, percorro un viale stretto malamente illuminato.
Guardo l'orario. Le 22.06.
Imbocco un vialone con marciapiedi ampi e tanti alberi.
Due tizi, forse, inglesi mi chiedono informazioni, gentilmente rispondo.
Supero una macchina nera con a bordo una ragazza niente male.
Incrocio una famiglia di rumeni, madre, padre e figlia adolescente.
Non parlano italiano, la madre sembra discutere con la figlia.
Supero un incrocio, poi dei lavori in corso.
Per strada nessun'altro.
Solo io.
Nessuna macchina.
Mi pare di essere catalputato in uno di quei set cinematografici estremamente realistici ma deserti, tra un ciak e l'altro.
Mi godo passo passo ogni metro del set.
Le luci arancioni, l'aria tiepida.
Tutto perfetto.
Attraverso la strada ma me la prendo comoda, doso i passi e i movimenti e indugio nell'attraversamento. Tanto per restare un po' di più in mezzo alla strada.
Supero un altro incrocio, un cavalcavia, un altro viale.
Nessuno. Niente pedoni. Niente macchine.
Sorrido, ascolto la musica nelle cuffie e scorreggio allegramente.
E per ogni scorreggia me la rido di gusto.
Un set a disposizione e lo utilizzo per riempire l'aria dei miei gas.
Agosto è anche questo
charlieboy


Felicità
è star da solo d'estate
nella città deserta
sulla tazza del cesso
con la porta aperta
           
Dino Risi


martedì 19 agosto 2014

Alla faccia


La faccia il più delle volte non ce la fa a nascondere le pulsioni presenti dietro di lei.
Quantomeno io non ne conosco molti in grado di non fare trasparire nulla.
La faccia, non mente quasi mai.
Mostra tutto, i sorrisi, i denti, gli occhi ammiccanti ma, soprattutto muscoli mimici che si tendono, sguardi d'invidia, paure, ambizioni.
La bocca invece tradisce spesso, per il modo in cui si muove, per i suoni in grado di emettere.
La muscolatura labiale è strettamente interconnessa con il cervello, con l'area deputata alla genesi meccanica della parola, a suo volta strettamente connessa con l'area dell'ideazione della parola e, in definitiva, del pensiero.
Tutto ciò che arriva dal cervello, o per meglio dire, della parte più "giovane" del cervello risulta quasi sempre inaffidabile, ricco di contrasti, pieno di sovrastrutture, di cose "socialmente accettabili", di "politcally correct" tali da risultare quasi sempre distonici con il comportamento di chi quelle parole le pronuncia.
I rapporti umani non sono fatti per fortuna solo di suoni, sono fatti di gesti, di espressioni, sguardi, posture, movenze che non sono sempre gestibili e che, per quel mi riguarda, spesso e volentieri esprimono la vera essenza della persona stessa.
Nulla di particolarmente brillante come considerazione, un tizio (Alexander Lowen) aveva già svolto questo tipo di analisi affiancandole a contesti "psicologici" ben precisi. 
Branca della psicanalisi che prende il nome di "bioenergetica".
Nome roboante e, diciamolo, pure da televendita, ma a mio avviso getta lo sguardo su uno dei pochi punti chiaramente veri che ogni individuo riesce a generare.
Il resto sono puttanate.
Se dovessi, e penso che sarà così per tutti, considerare un individuo solo sulla base delle cose che dice bè, senza tanta faciloneria potrei affermare di essere circondato dalle persone più splendide presenti sulla faccia della terra.
Inutile dire che non è così, o meglio, non è neanche lontanamente così.
E' abbastanza comune per me trovarmi d'accordo con ciò che un individuo ha da dire ma di provare, al contempo, una sorta di disagio fisico generato non solo dalla presenza della persona stessa, ma anche da come si muove, da come occupa lo spazio, da come stira i propri lineamenti, da come mi guarda mentre parla.
Anche questo è un segnale di quello che c'è dietro al muro innalzato dalle parole.
I risultati di queste considerazioni li vedo ogni giorno sul lavoro, non bastano infatti gli anni lavorativi che ognuno di noi è obbligato a scontare, il tempo sul lavoro i più preferiscono farcirlo con altre clamorose stronzate quali la carriera, l'ambizione, il protagonismo.
Tutte cose che in se e per se non sono ne positive ne negative ma che lo diventano (negative) dal momento che per "fare carriera" devo "usare" certi stratagemmi.
Innalzare me stesso, lavorativamente, significa nella stragrande maggioranza dei casi abbassare gli altri.
L'ambizione si traduce quasi invariabilmente non in un aumento di impegno nella propria attività lavorativa, ma nello sminuire quella altrui, ostacolando, se possibile colleghi e/o sottoposti.
Il protagonismo si traduce in un ordine monoteista dal quale tutto dipende e senza il quale, in linea assolutamente teorica, nulla dovrebbe riuscire a funzionare.
Sono problematiche assolutamente trasversali a tutti i tipi di lavoro quindi non è importante specificare di quale mestiere mi occupo, parlando un po' di qua e un po' di la di questi problemi ho trovato comprensione sia tra gli operai sia tra i laureati che svolgono le professioni più tecniche e di nicchia.
Alla base del comportamento l'essere umano medio (cioè stupido).
Con tutta la sua carica di mediocrità e con tutto quello che la sua mediocrità è in grado di generare.
Mi credo diverso? Non è un problema essere considerato un mediocre ma sono diverso perché 1) non ho alcun tipo di volontà di impormi sugli altri 2) ho il solo desiderio di essere lasciato in pace.
Non mi interessa sgomitare per un posto, per emergere o per sembrare più bravo di quello che sono (o non sono).
Un paio di considerazioni da porre a quelli che credono di fare carriera ce le avrei:
  1. con tutta la gente che vuole emergere, credete davvero di essere Voi quelli speciali? 
  2. chi Vi autorizza a pensare che davvero riuscirete ad ottenere quello che avete in mente? Non vedete l'ambiente lavorativo che vi circonda e che Voi contribuite ogni giorno a degradare? Non vedete tutti quelli che non sono riusciti ad ottenere nulla e che sono partiti dal Vostro stesso punto di partenza?
  3. non sarebbe meglio investire il proprio tempo per attività più edificanti in grado realmente di migliorarVi?
  4. invece di porsi la domanda "perché devo comportarmi così" perché non porsi l'esatto opposto: "perché non devo comportarmi così".? Potreste farVi nuovi amici. (un esempio .https://www.youtube.com/watch?v=3p8ayxvPMYI . Chiedo venia per le scritte in giallo che compaiono.)
  5. se i vostri superiori hanno ottenuto il ruolo utilizzando la Vostra stessa tecnica (molto probabile) avete uno straordinario esempio di quello che Voi stessi siete in grado di generare. Perché non cogliere l'occasione per una riflessione sul proprio operato?

Ho come l'impressione che non otterrò molte risposte e che per qualcuno sia troppo conveniente non porsi questo tipo di domande.
E poi avrete mica intenzione di fidarvi di uno che scrive in modo anonimo senza mai metterci la faccia. 
cordialità
charlieboy

domenica 6 luglio 2014

mare profumo di mare

L'acqua del mare è fredda ma trattengo il fiato e mi tuffo. Silenzio. Poi la temperatura si fa accettabile e mano a mano gradevole.
Nuoto un po'. Ritorno verso riva. Verso la coppia di amici con figlio al seguito.
Li guardo e valuto come l'esistenza possa cambiare in modo così totale.
L'odore del mare mi riempie il naso, mi asciugo gli occhi ed è allora che mi sorprende. Come un lampo di perfetta autoconsapevolezza.
Non è la prima volta che mi succede.
Un pensiero rapido e tagliente, di una "chiarezza" quasi assoluta. 
Un dolore altrettanto repentino come se non ci fosse speranza per me, come se fosse impossibile per me scrollarmi di dosso tutto quello che mi ha fatto male.
Mi sembra di capire tutto esattamente in quell'istante ma chiaramente non è vero.
Rimango aggrappato al canotto del loro piccolo bambino con questo dolore in gola.
E ora mi viene da sorridere a come l'immagine renda bene l'idea di quello che provo io dentro. 
Prendo tempo e prendo fiato e penso che poi comunque un tentativo vale la pena di farlo lo stesso.
Che per quanto certe questioni rimarranno storte o irrisolte la cosa che mi importa è la voglia di provare a guardarci dentro. Anche se fa un male cane, anche se vorrei non esistessero nemmeno.
Questo pensiero spegne un po' il dolore, lo rende meno acuto. 
Gli da (forse) un senso.
Da fuori nessuno si accorge di nulla. 
A distanza di qualche ora dall'evento  mi chiedo come mai certi pensieri mi prendano così all'improvviso e come mai mi trovi a pensarli proprio in certi momenti, quando dovrei avere altro per la testa.
Di fatto non sono più abituato a stare in mezzo alla gente.
charlieboy

mercoledì 4 giugno 2014

Storia nella bassa

mi si accendono idee come fossero luci su un albero di natale e ricalcano sempre , in qualche misura, le cose che mi sono sempre piaciute. Si tratti di montagna, arrampicata, bicicletta, musica, boxe oppure storia.
Come in questo caso.
La lampadina che si accende emana luce e scalda come una giornata di Luglio nella bassa padana. Chi c'è stato sa che cosa voglio dire. Quel caso afoso. Umido. Che ti si appiccica addosso. 
Ero nella casa di mia nonna, io poco più che ventenne, lei 80 anni circa. 
Generazioni a confronto. 
Usciti sulla facciata della casa di fronte alla strada parliamo del più o del meno.
Oggi, che non c'è più, mi sembra una cosa straordinaria anche se non ricordo nulla degli argomenti di discussione.
Lei in vestaglia e ciabatte, la divisa della donna di pianura insomma. 
E anche qui mi nascondo dietro la frase: "chi c'è stato, sa di cosa sto parlando".
In prossimità della rete che delimita la proprietà spunta il suo vicino di casa.
Il signor Ermanno, buonanima, è morto qualche mese dopo.
Il signor Ermanno è magro, un viso scavato, pochi capelli, baffi grigi, guance scavate. Indossa una canottiera e pantaloni corti.
Le vene gli solcano le mani e gli avambracci.
Ermanno ed io incominciamo a parlare del più o del meno, ricordo mia nonna Giovanna dire: "è fatto così, vuole sapere tutto". Detto rigorosamente in dialetto.
Mi stupisce una frase del genere detta da lei ma esprime bene le continue domande che le facevo riguardo al periodo della seconda guerra mondiale.
Una storia da scriverci un libro, sestogenita la Giovanna si trova a vivere una vita difficile che le plasma un carattere duro e ruvido. 
Difficile andare d'accordo con la Giovanna. Anche per me.
Ancora più difficile superare quello che ha passato lei.
Un fratello ucciso dai tedeschi, un altro invalido a causa della guerra, una sorella morta sotto un bombardamento alleato. Una morta di "crepacuore" una volta appresa la notizia della morte della sorella.
Non ci credete al "crepacuore"? Fate male, si chiama sindrome di Tako-Tsubo.
Sua madre che non si è mai ripresa dagli eventi bellici che hanno colpito la sua famiglia. Che hanno colpito le vite da lei stessa generate. E che l'hanno portata alla morte. Di li a poco.
Roba che mi viene il magone e le lacrime agli occhi.
Il signor Ermanno mi ricorda che la sua annata è stata una delle ultime alla chiamata alle armi, Lui che era del 1926.
Repubblichino, nella R.S.I. i volontari si selezionavano dicendo: "O ti arruoli o arrestiamo i tuoi genitori".
Il signor Ermanno si arruola. Nella bassa non ci sono posti dove nascondersi, come invece succede in montagna. [E non ci si può nascondere nemmeno oggi, ndr].
Finisce bersagliere a pattugliare le coste della liguria dove mi racconta due cose che mi stupiscono: 1) le coste liguri nel 1944/45 erano totalmente minate. Si temeva uno sbarco alleato. (Mai avvenuto). 2) mi racconta del suo stupore di 18enne alla visione del mare.
Per uno che era stato sempre nella bassa e che aveva confidenza con i fossi e al massimo con il fiume, doveva essere una vista straordinaria, mozzafiato.
Mi raccontava, senza fronzoli, ne retorica, come sanno fanno quelli della bassa, l'incanto di fronte al mare durante le guardie notturne.
Ricordo che mi diceva che, dotati di mitragliatrice, di tanto in tanto, sparavano qualche colpo con i proiettili traccianti, per solcare di verde il cielo notturno.
Dal mare era stato poi trasferito con la sua unità sul confine francese, perché si temeva uno sfondamento su quel settore. A parte gli scambi di cortesie con le artiglierie non era successo nulla e dalla valle d'aosta era ritornato al suo paese a piedi. Una volta cessate le ostilità.
Il suo volto e la sua cortesia nel rispondere alle mie domande me li ricordo bene. 
Come ricordo bene il volto di mia nonna.
Come ricordo il suo ultimo viaggio, mentre l'accompagnavo verso il cimitero. 
Ricordo di aver pianto intensamente, da solo, nella mia macchina e di non essermi fatto vedere da nessuno.
questo pudore
me l'ha insegnato lei
charlieboy

lunedì 2 giugno 2014

in sintesi

Non c'è nulla da dire: c'è solo da essere, c'è solo da vivere. (Piero Manzoni)

mercoledì 7 maggio 2014

dica 33

Appunti scritti sull'ultima pagina di un libro di Giorgio Scerbanenco.

Un viaggio in treno me lo concedo almeno una volta l'anno, rientra nella mia gestione dei mezzi di locomozione.
Lo "affronto" sempre in questo periodo. Occasione per mettere in fila gli anni (non lo facessi già abbastanza), per vedere cos'è cambiato da quando  ho iniziato a frequentare, 14 anni fa', questa stessa tratta, quando il treno era il mezzo che prendevo con più frequenza.
La bassa è sempre la stessa, piatta e monotona ma anche bellissima.
Come oggi.
Con i suoi centri logistici, le rotonde, i supermercati e i capannoni.
Ma anche con il suo cielo azzurro, la terra gialla e i campi coltivati.
E' bellissima nei suoi paesini e nelle sue frazioni insignificanti, dove posso sentire l'odore della casa di mia nonna, dove dimora quel senso di pudore antico e potente dove il senso del dovere si misurava con lo spessore dei calli sulle mani.
La littorina diesel procede sorniona, i sedili di vinile gli donano un tocco molto '60s e ho l'impressione che da un momento all'altro debba salire una comitiva di suore vestite come nei film di Fellini o di trovarmi all'interno di una canzone di Paolo Conte.
La lentezza del "viaggio" mi aiuta a ritrovare tutti i pensieri che ho depositato sulle rotaie anni prima, così al posto delle stazione ritrovo le "mie stazioni".
I pensieri pensati l'anno prima o prima ancora, quando avevo altre cose da fare.
Quando ero un'altra persona.
Viaggio nel tempo e lo faccio ad una velocità di 50 km/h con dei consumi (credo) piuttosto contenuti.
Il viaggio, il giorno, il rumore della littorina e i miei pensieri mi aiutano a fare pace con me stesso.
L'ennesima volta.
L'ennesima volta che mi rialzo dopo giorni passati in posizione più orizzantale che verticale, a sprecare tutto il tempo avuto a disposizione.
Sono lento nel rialzarmi.
Sono lento nel riabilitarmi.
Sono lento nel farmene una ragione. Perchè succederà ancora.
Così faccio salire i pensieri pensati gli anni prima e deposito questi sui binari.
Prima o poi,
ritroveranno la strada di casa
charlieboy

mercoledì 23 aprile 2014

Odori

Da queste parti ci sono serate che hanno un po' questo sapore.
Esattamente come l'odore che mi entra nel naso verso sera. Che sa di primavera e di estate in arrivo. Carico di ansia, di cose da fare e di elettricità. Che sa di "fiera con le giostre", che sa di vacanze e di pantaloni corti. Che sa che dovrò aspettare ancora un po' per tutto questo.


https://www.youtube.com/watch?v=r2jkLseUxyE


Forse si tratta di affrontare quello che verrà come una bellissima odissea di cui nessuno si ricorderà.
Forse si tratta di fabbricare quello che verrà con materiali fragili e preziosi, senza sapere come si fa
charlieboy






martedì 15 aprile 2014

in linea

La grande depressione che è la mia esistenza procede. Diritta. Lineare. Senza scossoni.
Non che ne voglia sia mai anzi, penso di esserne terrorizzato.
Sveglia, lavoro, casa, dormire.
Sveglia, lavoro, casa, dormire.
Un mantra di cui farei francamente a meno. Di cui non vedo il senso e di cui, da un po' di tempo almeno, sento venire meno "l'urgenza" di dovermelo spiegare.
Lo sopporto, passivamente, lo subisco per ciò che può generare.
Il lavoro è una pratica piuttosto straziante. 
Parlo con poche, pochissime persone. Il resto è materiale organico di cui mi vorrei disfare nel più rapido modo possibile.
Trovo patetici coloro che si realizzano sfoderando sorrisoni, ammiccando, dandogli dentro con le (finte) relazioni e sfoggiando la cravatta ciclamino nei giorni buoni (citazione tratta da Fight Club).
Anzi a dire il vero mi chiedo come possa il lavoro dare un senso alla propria vita. 
Il senso di questa bruttura che non afferro minimamente. 
Il senso delle relazioni men che meno. 
Compagnie, cene tra colleghi, serate, aperitivi…ho la nausea solo a pensarci.
Non c'è nulla (di vero) dietro queste cose. Perché ostinarsi a farle in compagnia?
Si possono benissimo fare da soli. 
Forse: "not being able to create art, not being able to understand art, I consider my failure as the failure of the world." C.B.
Forse: "l'inferno sono gli altri" J.P.Sartre
penso che non ci sentiremo per un po'
o forse no
charlieboy

P.s.
"Shame" S. McQueen "Nymphomaniac" L.Von Trier. Consigliatissimi.

martedì 4 febbraio 2014

SpazioTempo

Il mio alter ego abita esattamente dirimpetto alle mie finestre. 
15 metri che mi permettono di attraversare lo spaziotempo e di vedere me tra 30 anni circa.
Ha le guance scavate, l'aria di uno che dorme poco. O male. O tutt'e due. 
E alto. Come me. Braccia lunghe. Come me. 
Capelli grigi. 
Non ci sono dubbi sul fatto che sono io da vecchio. 
Ogni tanto scosto le tende dalla finestra per sbirciare cosa fa'. E' in casa oppure è uscito? Il lavoro? Che lavoro fa? Domande che non hanno una risposta. O forse sì.
Succede di vederlo di spalle, parlare al telefono oppure in piedi, in bella mostra a fissare il televisore.
E' capitato più di una volta di scostare la tenda e di trovarlo lì, alla finestra del salotto mentre guarda fuori e poi guarda me. 
Anche per lui è un viaggio nel tempo, ma al contrario.
Vorrei chiedergli quello che vede. Vorrei chiedergli consigli. Vorrei sapere se vede talento, rimpianti, arroganza, imprudenza, errori, vie di fuga, speranza...
Lui ha negli occhi le stesse domande, vorrebbe chiedere all'io più giovane se è invecchiato bene, se sono orgoglioso di quello che è diventato, delle scelte fatte, dei percorsi presi, dei conti pagati, del fatto che sono passati tanti anni ma vive sempre da solo e da solo vaga, vive, sopravvive.
E' capitato di tenergli aperta la porticina d'ingresso, domenica scorsa, ritornavo da non so dove e lui tornava dal supermercato.
Un borsa nera nella mano destra una rossa in quella sinistra, cariche dalla spesa settimanale.
Anche io avrei dovuto fare la spesa, ma mi sono perso nelle mie solite cose. 
Lui invece no, evidentemente il mio io vecchio ha imparato ad organizzarsi.
Non ha proferito parola, gli ho spalancato la porta e lui è entrato. 
Almeno questo
glielo dovevo
charlieboy

mercoledì 22 gennaio 2014

la Vittoria

Quello che mi serve è una vittoria totale, definitiva, assoluta. Nessuna perdita sul campo di battaglia, nemmeno una goccia di sangue versato, nemmeno una lacrima per i nemici che giacciono lì. Esanimi.  Con gli occhi spalancati e lo sguardo sorpreso dalla rapidità con cui può sopraggiungere il traguardo che loro stessi credevano lontanissimo: la morte.
Nessun prigioniero, nessun sopravvissuto, fendenti precisi che hanno sezionato prima l'aria e poi le loro teste. 
Nell'aria la tranquillità di una giornata come questa che sul calendario pare invernale ma che a me pare invece di primavera.
Un sole tiepido, un po' di foschia e il campo sgombro da tutto ciò che mi è nemico, che è lontano da ciò che sento, vedo e penso.
Per una volta, per poche ore o fosse anche per qualche minuto, lo sguardo è libero di spaziare, senza saperli vicini, presenti, confabulanti ed attivissimi. Un passo prima della schizofrenia? Può essere.
Continuo a dire quello che penso, ad alta voce, difendendo la mia posizione. 
Il mio staterello ha già delineato i suoi confini. 
O vengo annientato o mi alleo con uno stato più potente (che decida di sfruttare le mie risorse) o divento un paradiso fiscale.
Che analisi… 
dovrei scrivere su Limes
charlieboy


Qualsiasi cosa, del resto, è una perdita e spreco di tempo: tranne fottere di gusto o creare qualcosa di buono o guarire o correr dietro a una specie di fantasma-amore-felicità. Tanto tutti finiamo nel mondezzaio della sconfitta: chiamala morte, chiamala errore. Io non son bravo con le parole. Direi però, dato che tutti ci s'adatta alle circostanze, che certe cose accrescono la tua esperienza, anche se magari non si tratta di saggezza. È possibile peraltro che uno resti per tutta la vita nell'errore, vivendo in uno stato come d'intontimento o di paura. Ne avrete viste, di queste facce. Io ho visto la mia.
C.B.
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/verita-e-menzogna/frase-209507?f=a:161>