martedì 16 settembre 2014

arrampicando

Arrivati a destinazione prepariamo in silenzio il materiale.
Mezz'ora di cammino nel bosco, poi una radura, poi ancora bosco, poi una radura.
Spuntiamo esattamente sopra alla parete.
Butto un occhio 200 metri più in basso e penso che non ci riuscirò.
Scendiamo lungo un angusto canale. In mezzo un piccolo ruscello.
Intorno vegetazione cresciuta nonostante il percorso sia parecchio ripido.
Arriviamo alla base della parete.
Un ghiaione ci porta sotto all'attacco della via.
Il mio compagno di cordata parte.
Movimenti all'inizio grossolani e mano a mano più convinti e precisi.
Per quello che ne so (e cioè poco) nell'arrampicata i primi 10 metri di ascesa (per me) sono sempre i peggiori.
Lui sbuffa un po', sbatte le mani, il freddo della roccia intorpidisce le dita e i polpastrelli sembrano diventare di plastica.
Le prese non sono mai sicure e non si capisce mai se la mano terrà o meno.
Scompare sopra un salto di roccia.



Dopo un po' sento strattonare la corda. Posso partire.
Infilo le scarpette.
Sento la paura salire su, dal basso verso l'alto, esattamente come la direzione che dovrò seguire nelle prossime 3 ore.
Salgo un metro e mezzo, non di più.
Sento una paura forte.
Mi blocco.
Le gambe tremano. Respiro.
Cerco le prese.
La roccia sembra piena di asperità ma niente che mi convinca.
Eppure il mio compare è passato proprio di qua.
Rimango forse 10 minuti nello stesso punto.
Non vado ne avanti ne indietro.
Penso che ancora una volta ha vinto la paura.
Che, esattamente come l'anno scorso, dovrò abbandonare a pochi metri da terra.
Poi prova a prenderla in modo diverso.
Invece di "farmi coraggio", lascio che la paura fluisca, faccia il suo corso, mi faccia trovare una soluzione, anche se questa può significare: ritirata.
Provo a spostarmi sulla sinistra, un traverso di due metri non di più.
Sotto di me sempre 1 metro e mezzo. Nulla di più.
A sinistra salgo con un piede, poi l'altro.
Le mani, ancora fredde trovano prese che mi convincono, che sì, quel passo si può fare, che posso salire ancora un po'.
Stacco il primo rinvio.
Guardo verso l'alto.
Mi pongo l'obiettivo di andare a staccare il rinvio successivo.
Cinque metri, forse.
Lo sgancio.
Poi un altro rinvio, poco più in alto.
La sequenza di prese mi obbliga a caricare la gamba sinistra e a cercare quello che sembra un bello spuntone di roccia da prendere di rovescio.
Quel pezzo di roccia in mano mi da sicurezza.
Salgo ancora e non guardo giù.
Non mi interessa sapere di quanto sono salito.
Piego sulla destra, la roccia si inclina, diventa meno ripida.
Vedo il mio compare.
"Pensavo non arrivassi più" esclama.
"Mi sono incartato a 1 metro e mezzo da terra" rispondo sorridendo e con il fiatone.
Arrivo in sosta.
Riparte.
E poi di nuovo io.
Salgo verso l'alto ed è come si mi ci abituassi.
Come se diventasse tutto normale, naturale.
I movimenti ora sono precisi ed armonici.
Il freddo dell'inizio è passato.
Le manovre fatte con la corda sono ora molto più rapide, come se avessimo adottato un "metodo comune".
Arrivo alla fine, 200 metri più in alto ed è un po' come si mi dispiacesse.
Lascio la paura attaccata alla roccia e mangio focaccia e speck.
Parliamo del più e del meno in una strana atmosfera rilassata.
Poi, senza dire niente, prepariamo il materiale e torniamo alla macchina attraversando il bosco superato in mattinata.
Tanti funghi e pure tante betulle.
La mattina non me n'ero neanche accorto.
Al bar, in paese, due birre cadauno che mi sono sembrate buonissime.
In macchina, di ritorno per i fatti miei, uno strano senso di leggerezza che avevo già provato 3 anni, in occasione della "prima" in parete.
Questa la colonna sonora. ( https://www.youtube.com/watch?v=VerK4zwMRQw - Kate Bush. Hounds of love)
una bella giornata
charlieboy

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