sabato 9 maggio 2015

Tema

Introduzione:

Mi chiudo il cancello alle spalle.
Un “clac” metallico e poi per strada sento solo i miei passi.
Attraverso la strada, scarto le antiche mura e mi dirigo verso il centro.
Non conosco molto di questa città.
Le vie, i negozi, i posti non mi trasmettono praticamente nulla, qualche fotogramma dei mesi passati, nulla di più.
Non ho storie legate a questi luoghi.
Supero una reliquia di night club (una specie di “Ippopotamo” per citare Fantozzi) e raggiungo l’epicentro della night life.
Tanta gente in piazza e per le strade del centro.
Mi sposto leggero, la testa tra le nuvole, sospeso, immerso nei miei pensieri.
Una ragazza che parla al cellulare scoppia a piangere.
Proseguo diritto per la mia strada.
Penso alla mia attitudine a passeggiare, specie di notte.
Un vezzo che mi ha preso sin da ragazzo, quando il cane mi portava a spasso.
Quando invece dell’ipod mettevo nelle orecchie le cuffie collegate al walkman.
Piano piano mi avvicino alla destinazione.
Suono il campanello.
Risponde mia madre.
Salgo per un' ultima notte con i miei genitori.

Svolgimento:


Mi era già venuto in mente di inaugurare la stagione 2015 dei “Post”.
Non l’ho fatto perché me lo sono voluto tenere il “Post”.
Ho sentito di fatto l’esigenza di scrivere venire meno, l’esigenza del dialogo interno però credo terminerà solo con la mia dipartita (eterna).
Mi volto a rileggere l’ultimo post e ci trovo scritte le paure legate al pensiero di perdere una persona.
Una persona che si è affacciata nella mia vita da Luglio dell’anno scorso e che, ho trovato il coraggio di frequentare (come si deve) solo dopo “Slow motion”.
Sono stati giorni intensissimi quelli di Dicembre.
Qualcosa dentro di me è morto.
E mi riferisco a tutta quella carica di insicurezza e di timore nei rapporti uomo-donna.
Quel lato è scomparso in poco più di 24 ore.
Vi assicuro che è stato sconvolgente accorgersene, che è stato sconvolgente (in senso positivo) sentirmi così pieno di vita.
Ecco perché poi non ho più scritto.
La vita, o quantomeno, un certo modo di vivere la vita è iniziato giusto in quei giorni.
E non ho intenzione di smettere.
Mi sono trovato a piangere, forte e in modo assolutamente sincero.
Mi sono trovato per la prima volta a piangere e a non cercare di soffocarlo, il pianto, ma di farle uscire, le lacrime, come se potessi davvero permettermele (e guarda caso, me le posso permettere).
Mi sono trovato a piangere e a dire le cose come stavano alla persona che amo e con cui voglio costruire qualcosa. 
Una casa, una famiglia, una vita insieme.
Una progettualità che sarà anche banale ma che diventa straordinaria se mi guardo indietro e vedo tutti i “piccoli” passi che ho dovuto compiere per arrivare fino a qui.
Il blog ha rispettato il suo “intento” quello di “tentare di psicanalizzarmi” nel tentativo di cercare di capirci qualcosa di più, di diventare, forse, un po’ migliore.
Non lo so se sono migliore, ma credo di sì.
Come credo di essere profondamente diverso dalla persona che, oramai 4 anni il blog aveva iniziato a scriverlo.
Sono venuto a meno, guarda caso, a Dicembre, al patto di non rivelare a nessuno dei miei conoscenti l’esistenza di questo blog,
E’ venuta a meno la “vergogna” di mostrare anche questo mio lato in pubblico.
Anche la “vergogna” è quindi scomparsa per lasciare spazio a quello che sono io. 
A quello che voglio fare io, ovviamente in compagnia della mia compagna.
Il Carlo privato e quello pubblico (già, mi chiamo Carlo, incredibile no!?) si assomigliano sempre di più.
Sono pronto a giocare le mie carte.
Non mi frega di nient’altro.
Non ho più paura del dolore.
Il dolore è, come tante altre esperienze, parte della vita.
E’ una esperienza inscindibile da essa.
Dargli il giusto significato, senza pensare a ricamarci su è la base per vivere (almeno per me).
Per accettare il dolore, il nonsense, le difficoltà.
Esattamente come il loro contrario.
Dare il nome alle cose (cit. Into the wild) non rende in se e per se felici, ma lo rende semplicemente più possibile.
Il resto dipende da me.
In questo caso dipende da Noi.
Già.
Perché domani mattina mi sposo.
La ragazza con cui ho incrociato lo sguardo 10 mesi fa’ nella hall di una scuola di inglese domani diventerà mia moglie.
“Non sarà troppo presto?” si è sentita dire Lei. (A me, visto il bel carattere non l’ha chiesto nessuno :)
La mia risposta è No.
Le mie motivazioni sono mie.
Sicuramente non ci vogliono anni per capire se è la persona che fa per me.
Di solito ci vuole davvero poco tempo.
A 34 anni (compiuti l'altro ieri) credo di avere trovato il coraggio di staccarmi dai blocchi di partenza.
Non lo so se taglierò per primo il traguardo.
Quello che so è che non sarà più la paura di perdere a tenermici incollato.
Per fare questo ho dovuto avere la fortuna di incontrare Alessandra.
Ho dovuto avere la forza e il coraggio di cambiare la mia vita per Lei.
Ed è quello che ho intenzione di andare avanti a fare.
C’avevo pensato a scrivere un Post di commiato però troppo patetico il risultato.
L’affetto con cui rileggo le cose che ho scritto non è tramutabile in parola.
Credo che valga la pena di lasciarci così, agitando la mano, con un sorriso (forse un po’ idiota) ma sincero. Sulle note di “Arrivederci” di Umberto Bindi.
Non mi riprometto di non scrivere più.
Forse lo farò ancora in questo spazio.
Forse lo farò per i fatti miei.
Non permetterò però più ai miei pensieri di cortocircuitarsi in uno spazio troppo anonimo.
Vi saluto e vi abbraccio
vado a sposarmi
Carlo (charlieboy)


L'amore non e' gia' fatto. Si fa.
Non e' un vestito gia' confezionato,
ma stoffa da tagliare, cucire.
Non e' un appartamento 'chiavi in mano',
ma una casa da concepire, costriure,
conservare e spesso riparare.
Non e' vetta conquistata, ma partenza dalla valle,
scalate appassionanti,
cadute dolorose nel freddo della notte
o nel calore del sole che scoppia.
Non e' solido ancoraggio nel porto della felicita'
ma e' un levar l'ancora, e' un viaggio in pieno Mare,
sotto la brezza o la tempesta.
Non e' un 'si' trionfale,
enorme punto fermo che si segna fra le musiche,
i sorrisi e gli applausi, ma e' una moltitudine di 'si'
che punteggiano la Vita,
fra una moltitudine di 'no'
che si cancellano strada facendo.
Non e' l'apparizione improvvisa di una nuova Vita,
perfetta fin dalla nascita,
ma sgorgare di sorgente
e lungo tragitto di fiume dai molteplici meandri,
qualche volta in secca, altre volte traboccante,
ma sempre in cammino verso il Mare infinito.

M.Quoist

lunedì 8 dicembre 2014

slow motion

Che sarebbe stata una notte lunga me ne sono accorto subito.
Dal momento in cui ho spento la luce e ho preso consapevolezza del silenzio che mi circondava.
Il silenzio mi apre una voragine quando i pensieri viaggiano così veloci, quando mi trascino ferito.
Tutto si dilata, il tempo, il momento tra un battito cardiaco e l'altro, le lettere delle parole... fino a rendere tutto incerto, insicuro, incomprensibile.
Girare in tondo, eternamente, senza arrivare mai a niente, mai da nessuna parte, dalla coda un nuovo inizio, e via così.
La notte diventa insopportabile, tutta questa lentezza, questa calma, questa assenza di movimento.
Quando i pensieri viaggiano così rapidi mi trovo a bere tisane, ad alzarmi in piedi ad orari strani a provare combinazioni a vuoto di pugilato.
Ed è tutto inutile.
L'equilibrio si disintegra per provare quell'inquietudine che mi aveva abbandonato da tempo.
Quell'inquietudine che mi ha sempre fatto paura, che mi ha sempre fatto soffrire.
Ci provo a razionalizzare ma la ruota, dentro, gira sempre. Pensarci su non la ferma, semmai la rallenta.
Sapere a che cosa si va' incontro. Sapere del dolore, della sofferenza.
Sono stanco e ho le lacrime agli occhi.
E poi ricominciare di nuovo tutto daccapo, con attrezzi sempre più logori.
Intravedo la "felicità", intesa come semplicità, e mi pare di essere solo, ancora una volta, nel desiderarla, nel condividerla.
Sono sempre più convinto che basti poco, tanta onestà, su tutto e mi sembra che costi troppo.
Però mi brucia dentro.
Non sono capace di fare diversamente ma non ho il coraggio, adesso, di pensare alla solitudine, ancora una volta.
ho paura
charlieboy

P.s.
non vedo l'ora che arrivi il giorno.


martedì 23 settembre 2014

Coprolalia #2

Di fatto ho tutti gli elementi per poter scrivere: coprofagia #2 .
Le stesse situazioni lavorative, gli stessi scontri peraltro (e purtroppo) con la stessa persona.
Come sul ring.
Peggio però, perchè sul ring almeno ci sono delle regole.
Qui invece vale, quasi, tutto.
Bassezze, falsità, finzione, il tutto frammisto ad una semplice domanda: "Perchè quella persona è lì? Con quale diritto? Con quali titoli?".
Se uno si pone queste domande è ovvio che, probabilmente, sotto sotto qualcosa ci cova.
In Italia (forse anche dalle altre parti) conta ancora essere "amico" del vescovo, essere attaccato alla sottana del prete, essere in massoneria, nei Laions o negli Arrotaty (errori voluti).
E' come se, in se e per se, le competenze, l'impegno e la professionalità non bastassero.
Come se ci fosse bisogno, sempre e comunque, di qualcos'altro.
Giusto l'altra sera, prima del casino e delle varie tirate di orecchie ricevute guardavo uno dei tanti programmi di giornalismo d'inchiesta.
Parlavano di un problema specifico, il trasporto pubblico, ma a ben vedere, la verità sottesa, almeno ai miei occhi, a queste argomentazioni (che valgono quanto le altre) è sempre quella: "se i vertici, se i dirigenti facessero il loro lavoro, certe situazioni non esisterebbero".
Io per lavoro mi trovo troppo spesso a dover derogare dal regolamento e questo per carenze croniche di personale e alle volte di strumentazioni.
Ciò arreca rischi ed esponi chiunque ad una possibile ripercussione di natura legale.
Se i "controllori" informati della situazione svolgessero il loro ruolo creerebbero strategie di uscita, permetterebbero alle "lamentele" di andare verso l'alto, cioè di seguire il loro flusso fisiologico.
Invece le "lamentele" (giuste o meno) ristagnano nei bassifondi (dove lavoro io), i vertici piazzati da qualche altro "vertice" se ne stanno buoni e non rompono i coglioni a nessuno proprio perché ciò è stato stabilito a priori.
"Io ti piazzo lì, però poi non devi rompere il cazzo".
"Quindi tieni buoni tutti, prometti prometti e non fare mai nulla".
La cosa che mi stupisce è che pare che per trovare questo atteggiamento ci sia bisogno di andare in Parlamento.
Balle.
Basta andare in comune, all'università, in ospedale, in biblioteca, all'archivio di stato...
Le dinamiche sono sempre le stesse.
I problemi, con le possibili relative soluzioni, si arenano sempre ai livelli più bassi.
I dirigenti hanno altre cose cui pensare, tra le quali nominare delegati per diluire le responsabilità e che vengono sottoposti allo stesso tipo di ricatto: "io ti do, però poi non devi darmi pensieri".
E via così.
In una spirale che vede i livelli dirigenziali più bassi sorbirsi tutto ciò che non va.
Ecco come la democrazia è stata svuotata del suo significato.
Ecco come impedire a chiunque di svolgere, nel pieno delle sue funzioni, il proprio dovere.
Forse tutta questa "stabilità"
non ce la meritiamo proprio
charlieboy

martedì 16 settembre 2014

arrampicando

Arrivati a destinazione prepariamo in silenzio il materiale.
Mezz'ora di cammino nel bosco, poi una radura, poi ancora bosco, poi una radura.
Spuntiamo esattamente sopra alla parete.
Butto un occhio 200 metri più in basso e penso che non ci riuscirò.
Scendiamo lungo un angusto canale. In mezzo un piccolo ruscello.
Intorno vegetazione cresciuta nonostante il percorso sia parecchio ripido.
Arriviamo alla base della parete.
Un ghiaione ci porta sotto all'attacco della via.
Il mio compagno di cordata parte.
Movimenti all'inizio grossolani e mano a mano più convinti e precisi.
Per quello che ne so (e cioè poco) nell'arrampicata i primi 10 metri di ascesa (per me) sono sempre i peggiori.
Lui sbuffa un po', sbatte le mani, il freddo della roccia intorpidisce le dita e i polpastrelli sembrano diventare di plastica.
Le prese non sono mai sicure e non si capisce mai se la mano terrà o meno.
Scompare sopra un salto di roccia.



Dopo un po' sento strattonare la corda. Posso partire.
Infilo le scarpette.
Sento la paura salire su, dal basso verso l'alto, esattamente come la direzione che dovrò seguire nelle prossime 3 ore.
Salgo un metro e mezzo, non di più.
Sento una paura forte.
Mi blocco.
Le gambe tremano. Respiro.
Cerco le prese.
La roccia sembra piena di asperità ma niente che mi convinca.
Eppure il mio compare è passato proprio di qua.
Rimango forse 10 minuti nello stesso punto.
Non vado ne avanti ne indietro.
Penso che ancora una volta ha vinto la paura.
Che, esattamente come l'anno scorso, dovrò abbandonare a pochi metri da terra.
Poi prova a prenderla in modo diverso.
Invece di "farmi coraggio", lascio che la paura fluisca, faccia il suo corso, mi faccia trovare una soluzione, anche se questa può significare: ritirata.
Provo a spostarmi sulla sinistra, un traverso di due metri non di più.
Sotto di me sempre 1 metro e mezzo. Nulla di più.
A sinistra salgo con un piede, poi l'altro.
Le mani, ancora fredde trovano prese che mi convincono, che sì, quel passo si può fare, che posso salire ancora un po'.
Stacco il primo rinvio.
Guardo verso l'alto.
Mi pongo l'obiettivo di andare a staccare il rinvio successivo.
Cinque metri, forse.
Lo sgancio.
Poi un altro rinvio, poco più in alto.
La sequenza di prese mi obbliga a caricare la gamba sinistra e a cercare quello che sembra un bello spuntone di roccia da prendere di rovescio.
Quel pezzo di roccia in mano mi da sicurezza.
Salgo ancora e non guardo giù.
Non mi interessa sapere di quanto sono salito.
Piego sulla destra, la roccia si inclina, diventa meno ripida.
Vedo il mio compare.
"Pensavo non arrivassi più" esclama.
"Mi sono incartato a 1 metro e mezzo da terra" rispondo sorridendo e con il fiatone.
Arrivo in sosta.
Riparte.
E poi di nuovo io.
Salgo verso l'alto ed è come si mi ci abituassi.
Come se diventasse tutto normale, naturale.
I movimenti ora sono precisi ed armonici.
Il freddo dell'inizio è passato.
Le manovre fatte con la corda sono ora molto più rapide, come se avessimo adottato un "metodo comune".
Arrivo alla fine, 200 metri più in alto ed è un po' come si mi dispiacesse.
Lascio la paura attaccata alla roccia e mangio focaccia e speck.
Parliamo del più e del meno in una strana atmosfera rilassata.
Poi, senza dire niente, prepariamo il materiale e torniamo alla macchina attraversando il bosco superato in mattinata.
Tanti funghi e pure tante betulle.
La mattina non me n'ero neanche accorto.
Al bar, in paese, due birre cadauno che mi sono sembrate buonissime.
In macchina, di ritorno per i fatti miei, uno strano senso di leggerezza che avevo già provato 3 anni, in occasione della "prima" in parete.
Questa la colonna sonora. ( https://www.youtube.com/watch?v=VerK4zwMRQw - Kate Bush. Hounds of love)
una bella giornata
charlieboy

giovedì 11 settembre 2014

analisi

Mi sono riletto, per curiosità, i primi post.
Era il 2011. Il primo post è del 28 Agosto. L'ho scritto qui, più o meno nell'identica posizione in cui mi trovo ora.
Ai tempi avevo finito da circa un mese un periodo di psicoterapia.
Ne sentivo il bisogno e mi trovai contento della decisione.
Rileggo i primi post e scopro certe parole chiave che poi sono tornate fuori, negli anni a venire.
Interessante, mi viene da pensare.
Quel periodo ad analizzarmi è paragonabile al sasso tirato in uno stagno.
Ho perturbato il sistema, la superficie dell'acqua ha iniziato ad incresparsi, ha iniziato a muoversi.
Già, il movimento.
Per questi anni ho continuato a lanciare sassi nello stagno.
L'acqua è ancora in movimento.
Chiaro che ha la sua inerzia ma lo stagno brulica ancora di vita, di prospettive e anche di cose che mi fanno paura, tanta paura.
Il blog ha compiuto 3 anni.
Il proposito scritto al di sotto del titolo è stato rispettato. 
Ho continuare a lavorarci su di me.
Non ho smesso di dialogare, di provarci a capire qualche cosa di più.
Il percorso è stato lungo ( e sarà lungo) e, finalmente, ho trovato un punto intermedio, una di quelle cose che ti fa esclamare: "Ecco, adesso ci siamo".
L'ho capita, finalmente, quella parte di me che genera buona parte delle cose che mi fanno soffrire ora.
L'ho trovata la parte che mi fa restare da solo, che non mi fa rispondere al telefono, che mi porta a schivare quasi tutto.
Domani ricomincio.
Ricomincio con l'analisi.
Ho bisogno di una mano.
E sono tanto stanco di provare vergogna.
charlieboy

sabato 23 agosto 2014

agosto

Finisco di lavorare un'ora e mezza dopo l'orario stabilito.
Esco ed è tutto buio. Cazzo il tempo passa e in un luogo senza finestre si immagina che fuori ci sia sempre il sole. Peccato.
Faccio per andare a recuperare il mezzo.
Mi ricordo a metà strada che invece al lavoro, oggi, ci sono andato a piedi.
Volto i tacchi.
Mi dirigo all'uscita.
Passo la sbarra, percorro un viale stretto malamente illuminato.
Guardo l'orario. Le 22.06.
Imbocco un vialone con marciapiedi ampi e tanti alberi.
Due tizi, forse, inglesi mi chiedono informazioni, gentilmente rispondo.
Supero una macchina nera con a bordo una ragazza niente male.
Incrocio una famiglia di rumeni, madre, padre e figlia adolescente.
Non parlano italiano, la madre sembra discutere con la figlia.
Supero un incrocio, poi dei lavori in corso.
Per strada nessun'altro.
Solo io.
Nessuna macchina.
Mi pare di essere catalputato in uno di quei set cinematografici estremamente realistici ma deserti, tra un ciak e l'altro.
Mi godo passo passo ogni metro del set.
Le luci arancioni, l'aria tiepida.
Tutto perfetto.
Attraverso la strada ma me la prendo comoda, doso i passi e i movimenti e indugio nell'attraversamento. Tanto per restare un po' di più in mezzo alla strada.
Supero un altro incrocio, un cavalcavia, un altro viale.
Nessuno. Niente pedoni. Niente macchine.
Sorrido, ascolto la musica nelle cuffie e scorreggio allegramente.
E per ogni scorreggia me la rido di gusto.
Un set a disposizione e lo utilizzo per riempire l'aria dei miei gas.
Agosto è anche questo
charlieboy


Felicità
è star da solo d'estate
nella città deserta
sulla tazza del cesso
con la porta aperta
           
Dino Risi


martedì 19 agosto 2014

Alla faccia


La faccia il più delle volte non ce la fa a nascondere le pulsioni presenti dietro di lei.
Quantomeno io non ne conosco molti in grado di non fare trasparire nulla.
La faccia, non mente quasi mai.
Mostra tutto, i sorrisi, i denti, gli occhi ammiccanti ma, soprattutto muscoli mimici che si tendono, sguardi d'invidia, paure, ambizioni.
La bocca invece tradisce spesso, per il modo in cui si muove, per i suoni in grado di emettere.
La muscolatura labiale è strettamente interconnessa con il cervello, con l'area deputata alla genesi meccanica della parola, a suo volta strettamente connessa con l'area dell'ideazione della parola e, in definitiva, del pensiero.
Tutto ciò che arriva dal cervello, o per meglio dire, della parte più "giovane" del cervello risulta quasi sempre inaffidabile, ricco di contrasti, pieno di sovrastrutture, di cose "socialmente accettabili", di "politcally correct" tali da risultare quasi sempre distonici con il comportamento di chi quelle parole le pronuncia.
I rapporti umani non sono fatti per fortuna solo di suoni, sono fatti di gesti, di espressioni, sguardi, posture, movenze che non sono sempre gestibili e che, per quel mi riguarda, spesso e volentieri esprimono la vera essenza della persona stessa.
Nulla di particolarmente brillante come considerazione, un tizio (Alexander Lowen) aveva già svolto questo tipo di analisi affiancandole a contesti "psicologici" ben precisi. 
Branca della psicanalisi che prende il nome di "bioenergetica".
Nome roboante e, diciamolo, pure da televendita, ma a mio avviso getta lo sguardo su uno dei pochi punti chiaramente veri che ogni individuo riesce a generare.
Il resto sono puttanate.
Se dovessi, e penso che sarà così per tutti, considerare un individuo solo sulla base delle cose che dice bè, senza tanta faciloneria potrei affermare di essere circondato dalle persone più splendide presenti sulla faccia della terra.
Inutile dire che non è così, o meglio, non è neanche lontanamente così.
E' abbastanza comune per me trovarmi d'accordo con ciò che un individuo ha da dire ma di provare, al contempo, una sorta di disagio fisico generato non solo dalla presenza della persona stessa, ma anche da come si muove, da come occupa lo spazio, da come stira i propri lineamenti, da come mi guarda mentre parla.
Anche questo è un segnale di quello che c'è dietro al muro innalzato dalle parole.
I risultati di queste considerazioni li vedo ogni giorno sul lavoro, non bastano infatti gli anni lavorativi che ognuno di noi è obbligato a scontare, il tempo sul lavoro i più preferiscono farcirlo con altre clamorose stronzate quali la carriera, l'ambizione, il protagonismo.
Tutte cose che in se e per se non sono ne positive ne negative ma che lo diventano (negative) dal momento che per "fare carriera" devo "usare" certi stratagemmi.
Innalzare me stesso, lavorativamente, significa nella stragrande maggioranza dei casi abbassare gli altri.
L'ambizione si traduce quasi invariabilmente non in un aumento di impegno nella propria attività lavorativa, ma nello sminuire quella altrui, ostacolando, se possibile colleghi e/o sottoposti.
Il protagonismo si traduce in un ordine monoteista dal quale tutto dipende e senza il quale, in linea assolutamente teorica, nulla dovrebbe riuscire a funzionare.
Sono problematiche assolutamente trasversali a tutti i tipi di lavoro quindi non è importante specificare di quale mestiere mi occupo, parlando un po' di qua e un po' di la di questi problemi ho trovato comprensione sia tra gli operai sia tra i laureati che svolgono le professioni più tecniche e di nicchia.
Alla base del comportamento l'essere umano medio (cioè stupido).
Con tutta la sua carica di mediocrità e con tutto quello che la sua mediocrità è in grado di generare.
Mi credo diverso? Non è un problema essere considerato un mediocre ma sono diverso perché 1) non ho alcun tipo di volontà di impormi sugli altri 2) ho il solo desiderio di essere lasciato in pace.
Non mi interessa sgomitare per un posto, per emergere o per sembrare più bravo di quello che sono (o non sono).
Un paio di considerazioni da porre a quelli che credono di fare carriera ce le avrei:
  1. con tutta la gente che vuole emergere, credete davvero di essere Voi quelli speciali? 
  2. chi Vi autorizza a pensare che davvero riuscirete ad ottenere quello che avete in mente? Non vedete l'ambiente lavorativo che vi circonda e che Voi contribuite ogni giorno a degradare? Non vedete tutti quelli che non sono riusciti ad ottenere nulla e che sono partiti dal Vostro stesso punto di partenza?
  3. non sarebbe meglio investire il proprio tempo per attività più edificanti in grado realmente di migliorarVi?
  4. invece di porsi la domanda "perché devo comportarmi così" perché non porsi l'esatto opposto: "perché non devo comportarmi così".? Potreste farVi nuovi amici. (un esempio .https://www.youtube.com/watch?v=3p8ayxvPMYI . Chiedo venia per le scritte in giallo che compaiono.)
  5. se i vostri superiori hanno ottenuto il ruolo utilizzando la Vostra stessa tecnica (molto probabile) avete uno straordinario esempio di quello che Voi stessi siete in grado di generare. Perché non cogliere l'occasione per una riflessione sul proprio operato?

Ho come l'impressione che non otterrò molte risposte e che per qualcuno sia troppo conveniente non porsi questo tipo di domande.
E poi avrete mica intenzione di fidarvi di uno che scrive in modo anonimo senza mai metterci la faccia. 
cordialità
charlieboy