sabato 29 dicembre 2012

Autotrigger

Sul lavoro procedo con il coltello tra i denti.
Meno fendenti.. alle volte a caso.
Il trigger scatta per niente ma significa che i tempi sono grami.
L'ambiente è fatto da persone viscide, unte, prostrate. Schifose.
Che il signore mi scampi da una fine di quel tipo.
Mi consolo riprendendo il discorso musicale che avevo abbandonato anni fa'.
Sono solo all'inizio ma magari ne tiro fuori qualcosa di gradevole per le orecchie.
Sorrido mentre sento Antonio Albanese che intervistato dice: "..in questa fase, c'è un sacco di gente che ha sfruttato il momento e si finge autorevole. E invece dice solo cazzate..."
Rido, di gusto.
Perchè è quello che mi sta succedendo sul lavoro.
però non mollo perchè mi hanno (già) rotto il cazzo
charlieboy

mercoledì 19 dicembre 2012

Non vorrei crepare

Scrivo...
cancello...
riscrivo...
faccio fatica in questo periodo.

Non vorrei crepare (B. Vian)
Non vorrei crepare
 prima d'aver conosciuto
 i cani neri del Messico
 che dormono senza sognare
Le scimmie a culo nudo
  divoratrici dei tropici
I ragni d'argento
  dal nido pieno di bolle
Non vorrei crepare
  senza sapere se la luna
  sotto la sua falsa aria di moneta
  ha un lato appuntito
Se il sole è freddo
Se le quattro stagioni
  sono davvero quattro
Senza aver provato
  a portare un vestito
  lungo i grandi viali
Senza aver guardato
  dentro a un tombino
Senza aver ficcato il cazzo
  nei posti più impensati
Non vorrei crepare
  senza conoscere la lebbra
  o le sette malattie
  che si prendono laggiù
Il bene e il male
  non mi farebbero penare
Se sapessi
  che ne avrò la strenna
E c'è anche
Tutto ciò che conosco
Tutto ciò che apprezzo
E che so che mi piace
Il fondo verde del mare
  dove le alghe ballano il valzer
  sulla sabbia ondulata
L'erba bruciata di giugno
La terra che si screpola
L'odore delle conifere
E i baci di colei
  che questo che quello
La bella ecco
Il mio Orsetto, Orsola
Non vorrei crepare
Prima d'aver consumato
  la sua bocca con la mia bocca
  il suo corpo con le mie mani
  il resto coi miei occhi
Non dico altro bisogna pur
  mantenersi riverenti
Non vorrei crepare
  prima che abbiano inventato
Le rose eterne
La giornata di due ore
Il mare in montagna
La montagna al mare
La fine del dolore
I giornali a colori
Tutti i bambini contenti
E tante cose ancora
Che dormono nei crani
  di geniali ingegneri
  di allegri giardinieri
  di socievoli socialisti
  di urbani urbanisti
  e di pensatori pensierosi
Tante cose da vedere
  da vedere e da sentire
Tanto tempo d'attendere
  a cercare nel nero

E io vedo la fine
  che brulica e che s'avvicina
Con la sua gola ripugnante
  e che m'apre le braccia
Di ranocchia brancicante

Non vorrei crepare
Nossignore nossignora
Prima d'aver provato
  il gusto che mi tormenta
  il gusto più forte
Non vorrei crepare
  prima di aver gustato
  il sapore della morte...



La fine del dolore.
Già.
la fine del dolore
charlieboy

sabato 1 dicembre 2012

Spumador

La cameriera serve al tavolo acqua frizzante S.Antonio, alla vista dell'etichetta si riaccendono un mucchio di ricordi legati a mia nonna, alla sua casa in campagna, al suo carattere, alla sua persona, ai pomeriggi passati a giocare nel giardino, a scavare la terra con gli attrezzi di mio nonno.
Ricordo il sole, il caldo umido della bassa padana, le zanzare, le api del vicino di casa apicoltore, mia sorella in bicicletta.
Ricordo il fresco della casa, sempre con le tapparelle abbassate, per non "far entrare il caldo", ricordo la gassosa S.Antonio che mia nonna versava in un bicchiere di plastica (forse Moplen?) che arriva dritto dritto dagli anni sessanta.
Ricordo la stufa, a legna e poi convertita a gas, il piano cottura che aveva almeno 40 anni, il televisore Mivar appoggiato sul mobile della cucina, posso sentire ancora l'odore di quella casa.
La cantina, la lavanderia, il rumore dall'aspirapolvere e mio padre, giovanissimo, capelli corti e biondi a petto nudo lavare la macchina.
Ricordo il "viaggio" da casa mia a casa sua, 15 km che mi sembravano un'eternità.
E mi ricordo di lei, in vestaglia, sulla porta di casa che ci salutava mentre ce ne andavamo o mentre cucinava gli gnocchi. Che erano una meraviglia.
Ricordo il suo carattere, aspro.
Ricordo di averla amata e odiata, come tutte le persone sempre presenti nella mia vita.
Ricordo di aver pianto da solo, al suo funerale, mentre in macchina seguivo il suo ultimo viaggio.
E poi l'ho vista la, incorniciata in una foto, in quel posto dove l'avevo accompagnata un sacco di volte.
Ricordo un senso di smarrimento alla notizia della sua scomparsa.
ricordo
charlieboy

lunedì 26 novembre 2012

A perfect circle

Mi faccio un gaviscon sospensione orale aroma menta in bustine.
Non sarà allettante come un gin tonic fatto con l'Hendrix e con una bella fetta di cetriolo affogato tra i cubetti di ghiaccio.. ma ha la sua utilità. Specie in questo periodo.
Specie quando lavoro e basta.
Purtroppo.
Comincio il lunedì, mi alzo, appoggio i piedi sul pavimento, faccio un'inspirazione profonda e trattengo il fiato.
Il venerdì, al termine della giornata lavorativa, posso finalmente espirare.
E' così che mi sembra di fare.
Il tempo in apnea corre, va veloce, ma arriva inesorabilmente, ogni settimana.
Ogni domenica sera sento già nel naso il sapore di tutta quell'aria inspirata in un solo momento.
Il sapore di quell'aria che mi deve bastare per tutti e 5 i giorni.
Alle volte anche più.
Ora come ora non ho ne sonno ne voglia di compiere quella maledetta inspirazione settimanale.
I giorni liberi scivolano rapidi e mi sembra di non riposare mai, di non staccare mai, di non riuscire mai a fare quello che vorrei.
Mi ci abituerò?
spero di no
charlieboy

martedì 6 novembre 2012

Fragile di natura

Ma sì. Le solite cose. L'autunno. Ecc..ecc..
Vorrei riuscire ad ignorarmi per un po'. A smettere di far girare la macina che ho nella testa. Vorrei prendere delle ferie da me stesso.  Le ferie per spendere il mio tempo come mi viene. Sprecarlo forse. Ma averlo a disposizione.
Pensare al coraggio che non ho.
Pensare alla fine non mi ha mai aiutato più di tanto. E' quel pensare innaturale, che rende tutto artificioso, meccanico, lento, scoordinato.
Ritornare alle radici.
Ai desideri forse.
Cose che ho sapientemente smontato pezzo per pezzo.
Anno dopo anno.
è tanto che non scrivo qualcosa di decente
charlieboy

giovedì 25 ottobre 2012

Eataly

Ho buttato nel cesso il 90% della mia giornata. Spesa a fare nulla.
Pisolare sul divano. Poi a letto. Poi sul divano.
A vedere puntate già viste di "How it's made". E mentre scopro la meccanica dello straordinario tornio che leviga il manico delle stecche da biliardo mi viene in mente che forse potrei pensare a fare qualcosa di me oggi.
Ci penso su, mangio schifezze, bevo dalla borraccia. Faccio una specie di camping in casa mia.
E mentre Bear Grylls mangia vermi, caccia cinghiali e attraversa burroni con mezzi di fortuna io penso che... mah.. non lo so mica cosa voglio. Solo non stare così.
Allora mi sposto a letto.
L'amico Bear Grylls nel frattempo si è salvato ed ha raggiunto la civiltà.
Io che nella civiltà ci vivo vorrei attraversare il burrone al contrario.
Poi mi viene in mente che vorrei mangiare qualcosa che non mangio da tempo.
Me li cucinava mia nonna: i marubini!
Che il signore li abbia in gloria.
Mi organizzo e li raggiungo. Caldi, fumanti, li cospargo di formaggio gratuggiato...
Che meraviglia! Mi sono venute le lacrime agli occhi.
I sapori e i profumi della cucina di quand'ero piccino.
Innaffio con un buon vinello rosso con una gradazione indecente ed eccomi qui.
Ciò che rimane della giornata ha acquistato senso.
non ci voleva poi molto
charlieboy

domenica 21 ottobre 2012

ricordi maltesi


Cambia la stagione ma il mood invece prosegue nella sua traiettoria spietata e rettilinea. Il sentirmi nostalgico è, infin dei conti, una delle cose che reputo più normali. La sensazione è quella di camminare in bilico sul filo, una sensazione a tratti piacevole, che cerco di prolungare il più possibile e che innaffio con abbondanti pensieri riferiti al passato, riferiti a quegli eventi che ho vissuto e che non vorrei far tornare ma rivivere tali e quali ad allora, senza cambiare nulla. Senza sapere come sono andati a finire. Mi sento assolutamente così, privo del “senno di poi”. Attaccato al ricordo di qualcosa che c’è già stato. Lo posso accarezzare, posso valutarne i contorni, lasciare andare liberi i pensieri e fare riemergere dettagli vividi e nello stesso tempo insignificanti: io che guido nel traffico, una canzone, un profumo, un vestito, un sorriso, un percorso. I margini della persona che ero e che non sono più. Le cose cambiano solo per certi versi. Ora invece che non ho voglia di stare in mezzo alla gente (e quindi non lo faccio) ho come l’impressione di perdere terreno nei confronti dei “progressi” fatti prima. Di tutto quello che di buono ci può essere. Come se ogni volta ci fosse un punto che mi porta a ripartire da capo e con la lettera maiuscola. Le pulsioni scorrono sotto la superficie come vene che non si vedono, che non affiorano. In questo ho acquisito abilità e capacità. Riesco a tenerle lì, a renderle innocue, prive di quella spinta che può innescare il meccanismo, che può fare girare gli ingranaggi. E vivere tutti i giorni così diventa come guardare attraverso un binocolo, le immagini dei due occhi sembrano uguali ma sono in realtà abbastanza sfalsate da non coincidere mai. Con un occhio vedo quello che ho, con l’altro quello che vorrei. Penso di essere diventato talmente bravo da convincermi che quello che vorrei in realtà non esista. Farmene un ragione insomma. Allargare le braccia, mostrare i palmi e sollevare le spalle. Allora continuo a rovistare nei miei giorni e nei miei ricordi. E ricordo di aver già affrontato l’argomento con una persona che mi voleva bene. Ricordo di averglielo dolorosamente confidato mentre rimanevo stupito nel sentire le mie lacrime scendere abbondanti e inaspettate, come non succedeva da tempo. mentre rimanevo stupito nel vederla piangere del mio piccolo (o grande) dolore
charlieboy

mercoledì 3 ottobre 2012

La position du tireur couché

P., Anno Domini 2002

P., il portinaio, con cui passavo un sacco di tempo a parlare di storia, libri e politica, senza sentirmi però all’altezza della conversazione, mi aveva consigliato questo libro.
Le sue parole erano state: “Una narrativa di rara asprezza. L’autore non perde tempo in convenevoli".
Probabilmente aveva letto il libro in lingua originale.
In francese era stato pubblicato nel 1981, in italiano 11 anni dopo. 
Ero andato il giorno dopo, in libreria, a cercarlo. Una di quelle belle librerie universitarie, dove si trova di tutto. Libri usati, libri nuovi, fumetti, cancelleria, libri di testo. Un gran casino. Non sapevo dove cercare. Lo trovai tra un muro di libri dal dorso giallo. Quello che cercavo io era uno dei pochi con il dorso nero.  Un libricino piccolo. “Chissà..” pensai.
Tornai rapido verso la mia residenza pedalando sulla mia bicicletta verde oliva che, poco tempo dopo, mi avrebbero fregato (spero che le mie maledizioni abbiano colpito i testicoli del ladro). Effettivamente non so perché ricordi così bene quel pomeriggio.
I ricordi, e la cosa mi stupisce sempre, hanno la capacità di fissare dettagli vividi anche a distanza di tempo, anche per situazioni insignificanti.
Entrai nella mia squallida stanza, la 26. Faceva schifo e io non facevo nulla per migliorarla. Mi sdraiai sul letto e iniziai.
Era una bella giornata fuori. Cielo blu. Sentivo gli uccellini cinguettare.
Capitolo I. Poi lasciai perdere. Avevo da studiare.
La sera, a letto, nessuna voglia di leggere. Il vicino di stanza, alla numero 24, un bresciano figlio di ricco imprenditore, che scontava questa sua disgrazia frequentando il centro sociale con tanto di vestiti sciatti e atteggiamento da vero uomo di sinistra, stava scopando l’ ennessima vittima. Ci dava dentro parecchio.  Lei gradiva. Per fortuna non stava staccando una performance come quella della notte precedente ad un mio importante esame, qualche mese prima. Durante quella notte (che ricordo molto bene) mi fu impossibile dormire sia per la tensione pre-esame sia per i gemiti e i rumori tipici del coito violento del mio amato vicino. Il numero di rapporti, quella volta dell’esame, raggiunsero l’estenuante numero di quattro e in sequenza non proprio rapida; tali cioè da coprire le frequenze medio-alte dello spettro sonoro udibile e di buona parte della mia nottata.
“Si sarà calato un Viagra" pensai. E metteteci pure un po’ di invidia. Che non guasta mai.
Quella notte comunque riuscii ad addormentarmi e mi svegliai, al solito, verso le cinque. Zero sonno. Era il momento buono. Aprii il libro.
La lettura mi prese a tal punto che continuai fino al suono della sveglia.
“Cazzo.. devo andare a lezione” pensai quando si mise a suonare.
Doccia, colazione, bicicletta, aula universitaria, posti in fondo.
Il professore parlava di qualcosa, non so, non mi interessava minimamente. L’aula era una sorta di reliquia di metà del ‘900. Un anfiteatro di legno. Sui sottili e lunghi banchi semicircolari c’era scritto qualsiasi tipo di stronzata, dal “Ti amo tanto” al “Forza Inter”.
“Cristo, speravo che il liceo fosse davvero finito” mi ritrovavo a pensare ogni volta che leggevo quel genere di stronzate incise, a perenne memoria, nel legno.
Cosa ben peggiore, anni dopo, mi sarei ritrovato ad avere come colleghi di lavoro gli stessi possessori delle mani (e delle menti) in grado di incidere (e di pensare) tali cagate. [Il tempo non li ha migliorati… ma l’inaffondabile autostima li rende stranamente adatti al mondo del lavoro, alla vita terrena e pure all’atto della riproduzione, esattamente come il bresciano.]
E così, appoggiato al banco, non riuscivo a staccare gli occhi dal libro acquistato il giorno precedente e macinavo capitoli.
Ricordo i capitoli conclusivi letti mentre la lezione stava terminando.
“Ma che cazzo ci sono venuto a fare?” mi domandai. Effettivamente scendere dal letto dopo aver dormito praticamente nulla e fare di tutto per essere puntuali ad una lezione che si era già deciso di non seguire, non aveva molto senso. Ma ai  tempi vivevo ancora di “senso del dovere”. Cosa che poi, per fortuna, con il tempo, ho imparato a lasciare perdere. Roba per uomini d’onore, militari o religiosi e io non appartengo a nessuna delle 3 categorie.
Anche se ai tempi ci stavo ancora provando.
“Che libro!” pensai tra me e me con un’ espressione soddisfatta sul volto; la lezione era finita, qualcuno lasciava l’aula, qualcuno andava a fumare, qualcuno rimaneva al posto, vidi una ragazza, capelli rossi, occhiali dalla montatura blu guardarmi, voltare lo sguardo e salire le scale.
Stavo accarezzando la copertina. Era stato un grande acquisto.
“Ciao” mi disse.
Alzai lo sguardo ed era lì davanti a me.
“Ciao” risposi.
“Cosa leggi?” disse con un tono che tradiva un non trascurabile imbarazzo.
“E’ un libro che mi ha consigliato ieri un amico. Non riuscivo a smettere di leggerlo. Non mi era mai capitato”.
Non era mai capitato anche che una ragazza si facesse una scalinata per venire a chiedermi cosa stessi leggendo.
Parlammo, del più o del meno.
“A me piace molto Calvino” disse.
E poi entrò un altro professore. E cominciò un’altra lezione. Di cui non ricordo nulla.
Cominciò lì la mia amicizia con F.
Poi diventammo amanti e poi tornammo amici.
E lo siamo ancora.
 

Il libro?
“Posizione di tiro”. Jean Patrick Manchette. Ed. Einaudi tascabili. Collana Vertigo £ 15.000

L’ho riletto a distanza esatta di 10 anni. Ho esclamato ancora: “Che libro!” dopo aver sfogliato l’ultima pagina
charlieboy

domenica 30 settembre 2012

Apocalypse now

Ma a chi cazzo viene in mente di tradurre: "My war gone by. I miss it so" con "Apocalisse criminale"?
Bah. Chiunque sia, il criminale è lui. Non c'è alcun dubbio.
Come non c'è alcun dubbio che il titolo: "La mia guerra è finita e mi manca molto" sarebbe stato sicuramente migliore e avrebbe reso, alla prima occhiata, meno ridicolo un libro che, per inciso, di ridicolo non ha nulla e del quale consiglio la lettura.
Sì perchè Anthony Loyd, che poi è l'autore, descrive nel suo personalissimo modo la guerra nella ex-Yugoslavia. Il casino della guerra. Il casino di una guerra combattuta tra vicini di casa dove odio, diffidenze e rancori sono stati sepolti dalla sottile crosta stesa dal generale Tito e che, nei tempi e nei luoghi più opportuni, ha avuto modo di esplodere in tutta la sua orribile brutalità. Una guerra dove non si capisce quali siano le fazioni e nella quale si capiscono ancora meno le linee del fronte.
"Alla periferia di Vitez si trovava una delle più grosse fabbriche di esplosivi della ex Yugoslavia. Controllate dall'Hvo [esercito regolare croato], le sue riserve deteriorate richiedevano solo una conoscenza ingegneristica rudimentale per essere convertite in esplosivi. I croati si fecero prendere a tal punto la mano che trasformarono l'intero complesso in una gigantesca bomba, collegando i depositi ai detonatori, dopodichè minacciarono di farli esplodere se i musulmani avessero lanciato un attacco in forze sulla città. Gran parte della Lasva [controllata dai croati] sarebbe scomparsa sotto un fungo distruttivo. In altre guerre, in altre nazioni, forse avremmo riso dell'enormità di quella minaccia. Di fatto, la psicologia della guerra in Bosnia era pervasa dal suicidio. Deriderla era un rischio".
Tutte cose che si sanno già, ma leggere questo libro è qualcosa di diverso.
Primaditutto lo scrittore non è un reduce, egli narra in prima persona ciò che vede, ma che non gli appartiene; uno spettatore di fronte ad una guerra non sua.
Secondo, il vissuto di Loyd non è certo comune, ex militare, tossicodipendente, si iscrive ad un corso di fotografia e decide di partire, senza alcun contratto, come fotografo freelance verso Sarajevo.
Scoprirà nei balcani un modo semplice e rapido per non "farsi più di eroina" e cioè "farsi di guerra".
Anni e storie raccontate con una lucidità ed un punto di vista tutt'altro che banale, alternati ai brevi periodi passati in Inghilterra, a Londra, tra noia e dosi di "brown sugar".
"I vizi tendono a vivere più a lungo delle guerre, anche se i primi mi tengono inchiodato alle seconde, e a questo punto mi riesce ogni giorno più difficile individuare la differenza tra i due: sono entrambi conflitti, uno consumato all'interno, l'altro all'esterno. Ed è solo l'inizio. Scruta un po' più a fondo dall'angolazione viaggio-morte e vedrai solo una serie di incestuosi gemelli uniti per il collo che si alimentano e si scopano a vicenda: simmetra ed equilibrio perfetti."
Da giornalista si guadagna i contratti che gli permettono di andare avanti come freelance per diventare infine inviato di guerra del Times.
" Se leggi la notizia su un giornale magari non lo provi, magari cadi nella vuota sterilità della frase "pulizia etnica" senza mai comprendere cosa davvero sia: persuadere con il terrore. Fuori dalla Bosnia numerose persone non si limitarono a cadere in quel vuoto. A guerra terminata, uno degli editorialisti che scriveva sulla Bosnia senza mai esserci stato, suggerì che la "pulizia etnica" era una buona idea poichè conduceva alla definizione di confini pacifici simili a quelli tra Inghilterra e Scozia. Era anche compiaciuto di tale paragone. Se gli avessero stuprato la figlia sotto gli occhi, forse sarebbe stato di un'altra opinione".
Dalla Yugoslavia si sposta poi in Cecenia, nel 1995:
"La guerra in Cecenia. Non avevo mai visto nulla del genere. In termini di violenza, di terrore e di orrore superò tutto quello che avevo visto in precedenza, fino a renderlo quasi insignificante. Si possono misurare i conflitti a seconda dell'intensità: bassa, media e alta. La Cecenia fece saltare il termometro e mi rivelò un eccesso della guerra che ignoravo. Da quel momento, la mia comprensione della guerra non fu più la stessa. Conobbi l'inferno, quello vero."
Un episodio che mi ha colpito:
"La mia esperienza personale di quella brutalità fu di natura più domestica; vale a dire quando un vicino di casa sparò al cucciolo che avevo adottato. Il cane aveva preso uno dei suoi polli, l'uomo allora comparve con un Kalashnikov in mano mentre io ero altrove e falciò il cucciolo sul vialetto di accesso alla casa. Preso dalla collera, barattai una bottiglia di birra con una granata, mi procurai del filo di ferro e architettai una trappola esplosiva che lo cogliesse di notte fuori della sua latrina. Il piano era fantastico: appena l'ammazzacani avesse aperto la porta, il filo avrebbe tirato la linguetta della granata e lui sarebbe finito all'inferno prima di avere il tempo di calarsi le brache.
Purtroppo un amico croato, che non aveva certo problemi a uccidere, mi convinse di rinunciare al mio piano, facendomi notare che qualcun altro avrebbe potuto usare il bagno prima dell'ammazzacani... di ragioni per uccidere in Bosnia ce ne sono a volontà, non c'è bisogno di tirare in ballo anche i cani morti. Accantonai l'idea."


"Amore odio, guerra pace, vita morte, crimine e giustizia: dire che la mia mente si stava dannando per cercare di mettere ogni cosa al suo posto sarebbe riduttivo. Cercavo di aggrapparmi ai valori che avevo appreso in tempo di pace e nel corso dell'infanzia; potevo usarli per zittire chiunque avesse chiesto chiarimenti, ma dietro tutto ciò, io e gli altri condividevamo l'inquietudine di una moralità capovolta. La guerra: non si deve credere al suo luccichio, potrebbe essere il paradiso come l'inferno. Alcuni si liberarono dal tumulto mentale che la guerra provocava, tornarono alla loro vita e mantennero la loro prospettiva. Altri morirono. In troppi, come me, si gettarono nelle onde senza mai guardarsi dietro, finchè non andarono a sbattere contro la risacca."

charlieboy

venerdì 28 settembre 2012

autumn leaves

Rileggo cose scritte. Scritte magari sul cesso.
Sorrido.
Sorrido per la capacità che sono riuscito a sviluppare nello spiegarMi.
Ovviamente è uno spiegarmi rivolto a me stesso, un darmi spiegazioni, alle volte, giustificarmi.
Poco importa.
Estramamente confortante sapere che il giochetto mi riesce.
Che ogni tanto la magia coinvolge anche me. Per qualche istante almeno.
Imbarazzante è rileggere cose che invece non avrei, con il senno di poi, voluto scrivere.
Ma va' così, e allora non c'è davvero nulla da aggiungere.
Scrivo molto e "pubblico" poco.
mi sto chiudendo sempre più in me stesso
charlieboy

giovedì 20 settembre 2012

2 modi

Qualche idea legata allo scrivere che mi frulla in testa.
Gira veloce, non si fa' prendere e se ne va.
Qualcosa sto maturando. Ma esattamente non ho ancora capito cosa ne uscirà fuori.
Un'altra teoria unificante? Oppure qualcosa che mi porti lontano da qui?
Perchè è quello di cui avrei bisogno ora. Andarmene lontano.
Dalle dinamiche e da quello che mi fa' schifo. Per capire poi, probabilmente, che non è sufficiente fare della strada per evitare di portarselo dietro o, per meglio dire, che qualcuno, e forse più d'uno, c'ha già pensato ad esportarlo, ben prima della mia ipotetica fuga.
A prescindere, mi sembra necessario rendere omaggio ad un certo Calvino Italo che se n'è andato il 19 Settembre di 27 anni fa'.
Servono poche parole per ricordarlo. C'ha pensato lui a scriverle.
Lampi di buon senso.
Non mi pare che ci sia molto da aggiungere.
Ciao Italo
e grazie
charlieboy

"L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso e richiede attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio."

giovedì 13 settembre 2012

La verità (non abita più qua)

Esco un po'.
La serata è bellissima. Un cielo splendente. Un sacco di stelle.
Aria frizzante.
Potrebbe essere una giornata di primavera oppure d'autunno.
E invece è ancora estate.
Respiro quell'aria che si respira solo al cambio di stagione.
Quell'aria che ti riempie ben ben il torace, che ha pure un buon sapore.
Mi viene in mente una canzone di qualche mese fa'.
Forse la stavo ascoltando in una giornata simile a questa. Boh.
La fischietto tornando a casa.
E la ritrovo in tutto il suo splendore.
charlieboy
http://www.youtube.com/watch?v=crogyWL9f04

"..la gente non vuole sapere da dove vieni o dove vai
è pronta dirti che sei ingrassato
più che a chiederti come stai
con il muso lungo e le fauci ben visibili
si ciba d'invidia in pillole commestibili."

sabato 8 settembre 2012

Dignità n° 2

Oggi sono stato al ristorante con il mio vecchio.
Era un sacco che con lo vedevo.
Era tanto che non ci facevo 2 chiacchiere.
Mi ha fatto piacere.
Niente di che.
Però è qualcosa di nuovo. Di diverso.
E penso che è da lui che ho imparato il senso di dignità.
Dignità che arriva dritta dritta dai campi della pianura padana.
Dal raccogliere quello che semino.
Dall'avere il coraggio di guardarmi sempre in faccia.
Dall'essere autocritico.
Dal pudore di non svendermi.
Dal pudore di non vendermi.
Dal coraggio di essere quello che sono, anche se alle volte i lati negativi superano, e di gran lunga, quelli positivi.
Eppure è così che mi piace essere e provo un conforto ed un compiacimento micidiale nel vedere sul lavoro quelli che così non sono.
Leccaculismo, doppiogiochismo, falsità, incapacità professionale, miseria umana.
Tutte cose che si stratificano più si alza il livello.
Più il quadro diventa dott. rag. geom. grand. figl. di putt. più queste caratteristiche si presentano.
Ma è questo il modo di fare?
Se è così allora sono condannato a non contare un cazzo per tutta la vita :)
E lo dico sorridendo, senza autocompiacimenti.
Il lavoro è popolato di gente così, quelli che ti vogliono dire quello che devi fare e quelli che invece stanno zitti perchè si sa mai... metti il caso che... metti che succede che... o semplicemente.. perchè mi fa' comodo così.
Così non mi va.
Non cerco alleanze.
Non cerco sgravi fiscali.
Dico quello che penso.
Costi quel costi.
Anche se tutti me lo sconsigliano.
Infin dei conti.
non me ne frega un cazzo
charlieboy

venerdì 7 settembre 2012

alla rovescia

Niente di straordinario.
Niente che non si possa ascoltare già in "Gente della notte" del vecchio Jovanotti eppure ultimamente vivo alla rovescia.
Lavoro quando gli altri dormono o si riposano e riposo quando si lavora.
Mi ha sfasato un pochettino i ritmi eppure, imbottito di caffè, stacco "performance" mai fatte prima.
Che il lavoro stia acquistando un senso?
In rare occasioni ho l'impressione di sì, ma lo dico sottovoce e credendoci pure poco.
Però la colazione con vista tangenziale con la brioche e il caffè me la sono goduta proprio.
e quando sorge il sole dire
buonanotte
charlieboy

martedì 4 settembre 2012

Dignità

Sul lavoro ho visto recentemente cose straordinarie.
Straordinarie, almeno per una volta, in senso positivo.
Ho visto un uomo di 92 anni prendere in mano la sua vita e condurla dove voleva Lui.
Per l'ennesima volta.
E ho pensato che ci vuole un grande coraggio.
E che, forse, io questo coraggio non ce l'ho.
Ne ce l'avrò mai.
Già perchè serve una lucidità e una dignità non indifferente per sapere scegliere.
E prendere una decisione quando questa significa vivere o morire bè, le cose le complica parecchio.
Ho visto serenità nei suoi occhi. Sapeva esattamente quello che stava facendo.
Non c'è dubbio, eppure me l'ha chiesto.
"Secondo Lei, faccio la scelta giusta?"
La domanda del secolo.
A 31 anni non sono in grado di rispondere ad una cosa del genere.
Non ce la faccio, sapendo che dietro c'è la vita o la morte. Lo zero o l'uno. Il bianco o il nero.
Neanche la medicina, che si pretende troppo spesso di voler imporre, sa dirlo se la scelta è giusta o meno.
Si possono sciorinare dati, statistiche, prognosi, probabilità ma niente di più.
Niente che conforti davvero.
Niente che aiuti davvero.
Perchè la questione qui va oltre i numeri, i medicinali, le terapie, gli interventi chirurgici.
Perchè dietro questa domanda, c'è la vita e la morte.
Unite, insieme, come sempre sono state.
Perchè la medicina di oggi è: difendersi dalle denuncie, è fare cose contro senso, è valutare il particolare senza vedere tutto quello che ci sta attorno, è tirare avanti come se fosse sbagliato fermarsi e chiedersi: "ma cosa cazzo stiamo facendo?".
Sono uscito da quella stanza con l'assoluta convinzione che quell'uomo abbia fatto la cosa giusta.
Ha dato un insegnamento straordinario a tutti quelli che volevano porsi come "curanti" dando una lezione di buon senso, di assoluta accettazione di quello che prima o poi succede, ovvero morire.
Ha preso per mano la sua vita e l'ha condotta dove voleva Lui.
un'ultima volta
charlieboy

venerdì 31 agosto 2012

il poeta di corte

Poco più di 365 giorni dal primo primo post.
Il blog compie un anno.
Volato via rapidamente.
Non avevo idea di quello che avrei fatto un anno fa'.
Non ho idea di quello che sarà tra altri 365 giorni.
happy birthday
charlieboy

http://www.youtube.com/watch?v=4CUu_Capljo&feature=related

in solitaria

Sul lavoro sono "gioie" e dolori.
Alterno fasi. Non so.
Non so ancora se sono pronto per fare questo mestiere per 40 anni e più.
Il problema che più sento vicino è la difficoltà a lavorare con altre persone.
La difficoltà nel relazionarmi con loro.
La difficoltà nel dovere relazionarmi a tutti i costi. Senza alternativa.
Senza poter scegliere, ma tollerando normalmente ciò che non normalmente non tollererei.
Ho un profondo senso di incertezza.
Potrebbe succedere tutto. Potrebbe essere che me ne vada e vaffanculo.
Non ho un percorso da seguire.
Forse dovrei andarmene mi viene da pensare, alle volte.
Ma non riesco mai ad andarmene "come voglio io" e questo non mi piace.
Spesso ho la sensazione di rimanere su questo posto di lavoro solo per dare fastidio a certe merde che non mi vorrebbero qui.
Ma capisco perfettamente i limiti di questo modo di pensare.
Per orgoglio o principio però mi viene da pensare così...
Vorrei solo restarmene per i cazzi miei e comunicare con gli altri esseri umani solo mezzo posta (o internet :)
in solitaria
charlieboy

domenica 26 agosto 2012

al fiume

Una giornata così al fiume non succede spesso. E io, sinceramente, non l'avevo mai vista.
Un cielo così blu ed un sole così benevolo. Bè rientra nella serie di post "a perfect..".
Una giornata così perfetta che avrei voluto schiacciare il tasto "Pause".
Fermare tutto, rimanere così. Fermarmi per godere ancora un po' del sole, del fiume, della mia sensazione di totale benessere.
Serenità dentro, primaditutto, merito di impegno profuso da parte mia per cercare di costruirla, nutrirla, mantenerla.
Penso ora di sapere dove andare a cercare la parola "felicità" o, quantomeno, qualcosa che ci si può avvicinare molto.
Ecco perchè avrei voluto il tasto pausa. Perchè mi è sembrato per un momento di accarezzarle la schiena (alla felicità, ndr), di sentire il suo passaggio, morbido e confortante, sotto le dita.
E c'ho pensato.
C'ho pensato per un momento alle radiazioni, al disboscamento, all'inquinamento, alla crisi economica, alle piogge acide, ai tumori, alle malattie psicosomatiche, ai disastri nucleari, alle slavine o semplicemente alla mia imminente giornata di lavoro del cazzo.
Ai colleghi e a tutte quelle merde che devo sopportare in nome di uno stupendio.
E poi, tutti questi pensieri me li sono scrollati di dosso.
Ho sorriso, da solo, ho scrollato la testa e se ne sono andati tutti insieme.
Perchè oggi
vinco io
charlieboy

martedì 21 agosto 2012

Nessun dolore

E mentre alla radio mi insegue la discografia di Lucio Battisti. Quest'estate se ne fugge con movimenti rapidi e snelli.
Rimango qui, a vedermi vivere, come se mi vedessi al cinema, ad assaporare momenti splendidi ed altri un po' meno, ma comunque troppo rapidi per scuotermi davvero, troppo lontani per sembrare davvero miei.
Vabbè, torno da un week end in montagna e probabilmente me ne farò un altro il prossimo.
Sole e cose bellissime, fatte e viste.
Torno in pianura e canto "Nessun dolore".
ma non è vero che non fai poi così male
charlieboy

giovedì 2 agosto 2012

a perfect silence

Rifugio Venezia ore 05.15. In attesa di partire per la cima del monte Pelmo.Fa' freschino.
Il panorama e il silenzio ripagano della levataccia.
Alla cima non ci arriverò, troppa nebbia a soli 400 mt dalla vetta.
Ma va bene così.
Ritorno a posare i piedi in pianura e mi sento più alto.
Mi sento meglio.
E mi sento migliore di tutti quelli che qua ci sguazzano.
E che pensano che sia davvero tutto qui...
charlieboy


miao! :)

martedì 24 luglio 2012

ancora sul suicidio

Un'altra volta nel giro di 6 mesi o poco più.
Di nuovo un suicidio.
Di nuovo questa parola. Orribile.
Di nuovo la sensazione di smarrimento di fronte ad un evento sempre inatteso.
Di nuovo la forte sensazione che quello che ci si porta dentro sia la cosa più importante.
E invece non gliene frega un cazzo a nessuno.
Stai male?
Cazzi tuoi.
Non mi interessa.
Se invece hai un tumore allora sei autorizzato a soffrire, e ad essere compreso.
E se invece sei depresso?
Allora no. Questo non si puo' accettare.
Ma non ti vergogni!? Con tutte le possibilità che hai!?
Come se bastassero quelle a farti stare meglio.
Cosa vuoi di più? Si sente spesso dire. (E alle volte lo si dice pure...)
E allora che succede? Succede che "devi prendere gli antidepressivi".
Effettivamente curare una problematica di chiara natura psicologica con i farmaci mi sembra la risultante più ipocrita e vigliacca che ci possa essere. Perchè è un modo schifoso di far rientrare il problema in un ambito più comprensibile, meno fastidioso.
Lui/Lei stava tanto male, ma da quando prende quella pasticca, è guarita.
Eggià. La medicina del cazzo. La medicina On/Off.
Il problema adesso c'è. 
E ora non c'è più.
Questo la dice lunga sul modo in cui la società "tratta" queste problematiche. Già perchè il disagio, la sofferenza psicologica è una cosa da tenere nascosta, di cui vergognarsi.
Zitto, silenzio, non parlarne. Non dirlo a nessuno.
Perchè c'è la hit parade anche nello stare male.
Se hai un tumore allora sei autorizzato a soffrire.
Ma se sei depresso no. Non te lo puoi permettere perchè nessuno ne capisce il motivo.
E nessuno ne capisce il motivo perchè nessuno te lo chiede il "perchè". E perchè succede ciò?
Perchè non gliene frega un cazzo a nessuno.
Perchè si tratta di grattare la superficie e di andare un po' più a fondo.
Si tratta di cercare una risposta che non  sia per forza immediata.
O scontata.
Capita però che al suicidio qualcuno ci pensi più intensamente e che ci riesca anche.
E' lì che però sì riesce a dare il peggio perchè comincia il commiato della comunità.
Comincia la commiserazione di chi, fino ad un attimo prima aveva voltato lo sguardo di fronte alla sofferenza o che aveva archiviato il dolore con un laconico: "si ma tanto non è una persona a posto" oppure: "quello/a lì non è mica tanto normale".
E comincia il tam tam delle frasi ad effetto, quelle cose patetiche, degne di 3 metri sopra il cielo.
Cose del tipo:
Vorrei avessi visto anche tu la bellezza della vita in un raggio di sole e te ne fossi innamorato per decidere di restare ed andare avanti.. Ora voglio pensare che sarai forte fortissimo..si, adesso lo sarai..
oppure
..che male fa chi se ne va..
oppure
..ho appena avuto una brutta notizia.. ma la vità è così bella..

Vabbè, lasciamo perdere perchè per qualche giorno potrei copiare e incollare tutte le stronzate che sono state o che verranno scritte. Tutta questa finta partecipazione. Questa voglia di condividere con gli altri un'artefatta commossa e lacrimevole partecipazione. E' questo che secondo me umilia ancora di più il ricordo di chi, facendo un gesto atroce ci ha sbattuto in faccia tutto il suo dolore.
Il dolore viene rispedito al mittente semplicemente facendo le cose di "facciata", scrivendo stronzate e continuando a fare quello che si è sempre fatto. Commettendo gli stessi errori. Ripetendo all'infinito gli stessi passi. Gli stessi gesti. Facendoli sempre nello stesso modo e insabbiando il dolore altrui sotto un cumulo di merda e di stronzate.
Stare in silenzio di fronte ad un dramma non è cosa da tutti  perchè ci vuole coraggio e questo invece è un posto di vigliacchi
charlieboy

sabato 21 luglio 2012

The perfect solitude

Lavoro troppo.
O almeno.
Lavoro troppo per i miei gusti.
La cosa vera è che ultimamente non mi pesa.
Mi alzo. Ci vado. Lo faccio e torno.
Strano modo di fare.
Chissà.
Di buono c'è che me ne sono andato in mezzo alle montagne per qualche giorno.
A camminare, arrampicare ecc..ecc..
Sono tornato migliore di come ero partito.
Con un profondo senso di tranquillità.
Con la bella sensazione di aver fatto fatica e di essere stato ripagato per lo sforzo fatto.
Di questo si tratta alla fine.
Di fare fatica.
Di fare cose con le mani. Di usarle.
Di mettersi in una modalità più semplice.
E di starsene da soli.
Con la bella sensazione di non aver bisogno di nulla di più.
ci dovrei andare più spesso
charlieboy

domenica 1 luglio 2012

vie complicate

Nel trascinarmi di questi giorni riesco ancora a prendere fiato quando leggo qualcosa che si avvicina molto a quello che penso io.
E mi consolo. E mi sento meno solo.
E mi sembra di inspirare un po' di "giustizia", termine di cui faccio ampio utilizzo e del quale  non conosco il 100% del suo significato.
Ciò che copio e incollo si trova su wikipedia e lo disse un grande della montagna: Walter Bonatti.
E' morto meno di un anno fa' il Walter, se n'è andato rapidamente, come lo stile alpino che aveva adottato.
In leggerezza approcciarsi ad una parete, inseguirla, giungere in cima e scendere.
Il più rapidamente possibile.
Ha fatto cose negli anni '60 che sono proibitive per tantissimi alpinisti dei giorni nostri.
Così rispondeva riguardo ai fatti che lo videro protagonista nella spedizione per la conquista del K2.
Ciò che disse potrebbe essere messo a completamento del post: "la terra dei cachi".

Non m'interessa parlare della notte che cambiò la vita, che ha reso il mio carattere per sempre sospettoso e diffidente. Avevo visto la durezza della guerra. Il giorno prima con i miei amici, partigiani, giocavamo a calcio, il giorno dopo erano nella chiesetta, cadaveri, sfigurati in viso dagli scarponi chiodati. Ho visto la fucilazione dei gerarchi fascisti, ero a piazzale Loreto quando appesero Mussolini a testa in giù come un maiale, sapevo cos'era la cattiveria, ma ignoravo l'infamia. Ho aspettato due mesi che Compagnoni venisse a darmi una pacca sulla schiena, a dirmi che aveva fatto una fesseria, a chiedere scusa, perché può capitare di essere vigliacchi, ma deve anche capitare di ammetterlo. Invece niente, invece sono finito sul banco degli accusati, ero io la carogna, non loro che avevano mentito sull'uso delle bombole, delle maschere, sull'orario del balzo finale alla vetta. Nella relazione ufficiale di Desio che il Cai ha accettato è sbagliata la quota del mio bivacco, quella del campo di Compagnoni e Lacedelli, l'uso e la durata delle bombole di ossigeno, niente affatto esaurito prima dei duecento metri di dislivello sotto il K2, e l'ora in cui dettero l'assalto alla vetta. E tutto questo perché? Perché l'impresa oltre ad avere successo doveva essere anche eroica. Far vedere che gli italiani erano stati non solo bravi, ma anche straordinari. Ne abbiamo fatto una montagna di merda, coperta di menzogne, perfino la stampa straniera ci chiede "perché?". E tutto questo perché non riusciamo ad essere un paese pulito, dobbiamo strumentalizzare le occasioni, la verità, sporcare gli uomini. L' Italia è un paese di complici, dove non esiste solidarietà tra onesti, ma solo scambio tra diversi interessi, dove il sogno di Desio doveva restare immacolato. Dove solo io potevo essere infangato, disprezzato, accusato. Non solo, ma qualsiasi controversia non viene mai affrontata, si preferisce accantonarla, non prendere la responsabilità di una scelta. Mentre oggi agli idoli sportivi imbottiti di droga tutto viene perdonato perché sono l'immagine del paese. E se solo guardo quello che passa in tv mi viene schifo: quelle persone sull'isola, che si fanno riprendere, quella buffonata. Con quale rispetto verso i padri dell'avventura, verso chi ha cercato frontiere e parole nuove come Melville, Jack London e Stanley? Io sul K2 in una notte del '54 sono quasi morto, ma quello che mi ha ucciso è questo mezzo secolo di menzogna. Ho urlato così tanto quella notte nella mia disperazione che adesso non voglio avere più voce. La puzza del K2 la lascio a voi, io preferisco respirare [...].

Non riesco ad aggiungere nulla.
Pennellate di disprezzo verso la realtà che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.
e che non facciamo nulla per cambiare
charlieboy

http://www.youtube.com/watch?v=GMcuOdfdJXk&feature=fvwrel
(la meravigliosa via Bonatti Ghigo. Grand Capucin. Monte Bianco)

vanity fair

Più autistici di così non si può.
Fare una cosa solo per farla vedere. Solo per dire.. "ecco vedete..".
Tristezza. Massignur... ma deve essere tutto per forza così miserevolmente deludente?
Cristo ma ci sarà qualcosa di più... di un po' di più.
Apro la pagina facebook e nella bacheca ci trovo "il falò delle vanità", tutti a far vedere questo, quello, ho fatto questo, ho fatto quello.
Andateven'affanculo dico io.
Le cose paiano che prendano senso solo se "condivise", pubblicate in attesa di cosa non so..
un commento?, una donna?, la morte?...
Non lo so.
Certo è che mi sembrano autistici quelli che si comportano così, attirare le attenzioni per poi cosa?
La gloria? L'invidia altrui?
che miseria
charlieboy

sabato 30 giugno 2012

amaro

L'amarezza di certi momenti me la porto dietro, manco avessi uno zaino ripieno di tutte queste cose di cui farei volentieri a meno.
Ma sono fatto così ed ho l'impressione che per quanta strada possa fare, per quanto lontano possa andare sta cosa me la porterò sempre dietro.
E' un fatto che si esacerba durante le fasi di stanchezza. Dove mi deludo con niente e dove mi sembra di essere fuori allenamento rispetto al mondo.
E' chiaro che esagero ma divento ipersensibile a quei piccoli e quotidiani gesti di prepotenza che mi fanno imbestialire.
In giro c'è un quantitativo assurdo di merde umane.
aspettando le ferie
charlieboy

venerdì 22 giugno 2012

il Galilei

Come fare a spiegarsi?
Mah.
Fondamentalmente non l'ho ancora ben capito.
E' un esperimento sempre difficile e faticoso.
Oggi al lavoro mi è capitato uno di quei momenti che non ti aspetti.
Un vecchio collega si è messo a parlare così, di quello che pensa della professione, del lavoro, di quello che farebbe se fosse giovane.
Se fosse al posto mio.
Io non so bene se crederci o meno.
La parvenza di onestà con cui parlava è stata sufficiente per tenermi lì ad ascoltarlo.
Ad ascoltare le cose che aveva da dire.
Ripeto.
Non so se crederci o meno.
Ma sembravano parole oneste e a me pare una motivazione più che sufficiente per stare ad ascoltarle.
E poi sono le parole di un trombato, di uno che nonostante l'età non conta un cazzo.
Ora, difficile per me sapere se si tratta di un trombato per incapacità oppure di uno fatto fuori perchè capace, quindi scomodo.
Non lo so, forse non importa nemmeno.
Come tutti quelli della sua età mi ha confermato e ribadito le seguenti parole: "Ricordati che sei da solo. Sempre, anche con tua moglie".
Anche se sono molto lontano dallo sposarmi mi chiedo, con questa consapevolezza come è possibile anche solo fidarsi di qualcuno?
Forse è il caso di prendere ciò che serve e tirare avanti, servirsi da soli insomma, come in un take away.
Faceva discorsi molto reali e concreti ma pure piuttosto sconfusionati.
Sicuro è che ai tempi doveva essere parecchio capace di fare il suo mestiere.
Pare pure uno di quelli con un sacco di idee brillanti.
Con tante cose da dire. Con tante teorie da esprimere.
E come tutte le teorie rimangono lì.
Solitarie ed innocue.
E se fosse uno con teorie devastanti come Galileo Galilei invece?
Sarei abbastanza intelligente da accorgermi di chi mi si para di fronte?
Non lo so. Ho parecchi dubbi.
E voi?
charlieboy

martedì 19 giugno 2012

lontano

Ultimamente lavoro tanto.
Il che è indice che la mia qualità di vita ha subito una flessione.
Poco tempo per me. Poco tempo per quello che mi piace fare.
Disprezzo radicato, motivato e profondo per i "capi".
Immani e possenti teste di cazzo che pensano di poter "coordinare" gli altri, qualcuno usa il denaro come specchietto per le allodole, qualcun'altro i ricatti, qualcun'altro ancora "l'etica" del "bisogna fare".
Fare che?
Ma andate a cagare per favore.
Questa gente del cazzo avrebbe dovuto risolvere i suoi problemi in età più giovane e invece ha preferito farli sedimentare fino a farli diventare irrisolvibili.
Gli workaholics hanno poi questi gravi problemi di sentirsi in dovere (forse diritto) di rompere il cazzo agli altri.
La cosa che mi consola è che è gente mossa da insoddisfazione perpetua perchè è la prima ad essere insoddisfatta di se stessa.
Si ma sticazzi, da gente di 50 e passa anni pretendo, esigo, molto, molto di più.
Stabilità dal punto di vista psicologico, buon senso, capacità lavorative ed organizzative.
E invece no, impartire ordini solo perchè si occupa un posto in una scala gerarchica.
Sarà che ho grossi problemi con il potere, ma che due coglioni ragazzi.
Io di sopportare queste nullità già non ne posso più.
E per il resto sono "lontano".
Lontano dalle emozioni, da ciò che "dovrei sentire" e che non sento.
Insomma mi sento molto ovattato.
Le sensazioni sono attutite, le cose non toccano sul vivo, indice che in "difesa" sto lavorando parecchio bene.
E poi lei che avrebbe bisogno di più di quello che so dare io adesso.
Mi chiedo se sono ancora in grado di condividere qualcosa
con qualcuno.
charlieboy

venerdì 1 giugno 2012

a volte ritornano

Ritornano.Tutti insieme.
La paura. Anzi.
Le paure.
Il non dormire la notte.
Lo schifo nel pensare al giorno dopo. Cioè a domani.
Ritornano tutte insieme e mi investono.
Mi sento vuoto e mi sento soffocare.
Ho parlato con persone cui sono successe cose orribili.
Eppure siamo qua.
Giorno dopo giorno mettiamo un piede davanti all'altro e ci muoviamo.
mi chiedo da dove arrivi tutta questa forza
charlieboy


Le cento città - V. Costantino (Chinasky)

Ognuno ha le sue prigioni , mentali, fisiche..                                                                              
Ognuno ci convive

Ma quando le pareti cominciano a restringersi, le
facce diventano anonime


Quando lo specchio comincia a darti del tu

Quando i marciapiedi ti provocano vertigini e la
strada sembra il tuo tappeto rosso


Metti insieme il tuo bagaglio

Riempilo di ricordi,speranze,parole,storie vissute e
storie da vivere


Riempilo di emozioni,musiche,liti,illusioni
d’epoca,domande e risposte


Trovati un amico e comincia la
condivisione,l’esplorazione


vai a caso,lascia le tue lacrime sul
cuscino,incontrati con la vita,scontrati con il dolore ruba l’amore


Non avere una meta ma cento,prova a ritornare perché
il ritorno da senso al viaggio


Pensa a Polifemo e alla sua solitudine e rispetta la
solitudine altrui


Gira intorno al mondo

Non girare con lui

Affrancati da te stesso e dall’attesa

Per amare la vita bisogna tradire le aspettative

Guardati intorno e guardati da chi si professa libero

Il sapore della libertà è la paura

Solo chi ha paura della libertà ha il coraggio di
inseguirla.

martedì 29 maggio 2012

in verità ti dico..

La mia modalità "provvisoria" prosegue.
E più prosegue più incrocio persone (più corretto il termine personaggi) che non vedono l'ora di salire sul pulpito e di pontificare.
"In verità ti dico.." le frasi cominciano più o meno così.
Queste persone che incrocio, le risposte se le sono già date tutte.
Il problema è fare collimare la realtà con le risposte che essi/e gradiscono di più.
Il processo, francamente patologico, è tutt'altro che semplice ma, con grande dedizione chiunque voglia vedere una cosa può farlo, sostendendo tesi assurde, autoconvincendosi oppure, cosa ancor più frequente, cercando di convicere gli altri.
Eggià.
Ecco allora che il giudizio altrui diventa estremamente importante, non chiaramente per ciò che contiene, ma per quello che vorremmo "sentirci" dire.
I feedback provenienti da altre fonti diventano dei semplici segnali che indirizzano il comportamento e che indicano quanto siamo (più o meno) vicini al target.
Sembra, con il dovuto rispetto e con le dovute differenze, un discorso da persone autistiche.
L'autismo effettivamente è ben più frequente di quello che si immagini, con l'autoconvizione, con l'adozione di pareri od opinioni in modo del tutto superficiali, con la visione esclusiva del proprio piccolo mondo. Si tratta di segnali inequivocabili, almeno secondo me.
Al solito, non sono immune da questo tipo di dinamiche, ma se autistico devo essere allora preferisco esserlo riferito a me, preferisco tollerare, rispettare e cercare di capire la mia piccola (ma complessa :) sfera piuttosto che vagare dicendo agli altri "come si fa!".
Le persone che stimo di più si sono ben guardate dal mostrarmi il cammino, si sono ben guardate dall'illuminarmi con "massime di vita", e se l'hanno fatto, bè, l'hanno fatto con un tale pudore, da giustificare spesso, anche l'atteggiamento più difficile da capire.
Tutt'altro parere invece per la maggior parte delle persone che mi circondano, e delle quali farei volentierissimo a meno, che invece hanno adattato la realtà alle loro opinioni, facendo collimare le loro risposte a ciò che pensano non solo di me, ma anche di quello che, lavorativamente, mi è recentemente accaduto (nulla di grave, percarità! :).
Eccole quindi in fila, una dietro l'altra, a sciorinare banalità sconcertanti e discorsi che, boh, dico io, non mi conoscete nemmeno, lasciate che siano dati oggettivi a parlare.
E invece no, ragionare in questo modo non è da tutti, e non perchè ci voglia chissà quale dono, intelligenza o capacità, ma tutt'altro, perchè l'obiettività potrebbe non coincidere con le proprie opinioni e secondo questo metodo, guidato dall'idiozia più totale, cambiare opinione significherebbe smontare chissà quale "impalcatura logica". Significherebbe perdere chissà quale dignità.
Significa giustificare sempre e comunque i propri errori, significa, in definitiva cercare di esportare la propria infelicità.
Se io sono infelice, e se lo sei anche tu, allora forse lo saremo tutti e due un po' di meno.
Giocare al ribasso insomma.
Giocare al ribasso?
no grazie.
charlieboy

venerdì 25 maggio 2012

To read

Che non sia un gran periodo penso sia risultato abbastanza chiaro.
Che invece di questa fase piuttosto dura stia assaporando tutte le asperità è invece cosa piuttosto nuova.
Nessun ottimismo del cazzo.
Nessuna visone "new age".
Semplicemente l'osservazione degli esseri umani che mi circondano.
A vedere con certi occhi e, con tanta tranquillità, certe dinamiche, le cose risultano chiare, lineari, logiche, ad incastro, come i blocchetti della lego.
E' come se mi tirassi fuori da certe dinamiche, per osservarle da lontano.
Come se me ne stessi in un angolo della piazza a vedere che cosa succede.
Ad osservare la gente che passa e a farmi un'idea di che cosa può avere per la mente.
Quello che vuole essere, sembrare, fare o dire, è chiaro che una persona lo manifesta.
Mi ricorda parecchio quella scena de: "La leggenda del pianista sull'oceano" dove 900 traduceva in musica i feedback che arrivavano dalle persone presenti in sala.
http://www.youtube.com/watch?v=p8wmwTJGcnI
Leggere la gente lo chiamano nel film.
E beninteso non è una pratica priva di errori, o che porta alla sfera più intima o vera.
Anzi.
Spesso, spessissimo ci si sbaglia.
Non tutti si fanno leggere alla prima occhiata.
Ma, a ben pensarci, qualcosa ci tradisce, sempre, quel qualcosa che intimamente è parte di noi.
E così, mentre me ne sto sulle mie, ad osservare il mio "nuovo mondo", ovvero il mio nuovo ambiente di lavoro, osservo dettagli ed ascolto parole di persone che mi parlano.
E da come mi parlano si capisce quello che pensano, non solo di me, ma quello che pensano sia giusto per loro.
Ecco allora che le differenze, dal punto di vista personale si fanno notevoli.
In fasi come queste dove sono messo in discussione, c'è sempre un sacco di gente che mi vuole insegnare come si fa', o che mi vuole spiegare come si riga dritto o che mi vuole spiegare l'ineluttabilità del compromesso.
Esattamente come nella boxe, quando si vede l'avversario vacillare, allora ci si permette di abbassare la guardia, pensando in un imminente knockout e si comincia a "menare" fendenti.
Ma non sempre i match finiscono così.
La lucidità mi è rimasta, e, come nella boxe, se sei lucido, difficile finire knockout.
Eppure mi stupisco di come, in situazioni come questa, le persone si sentano autorizzate a "vendere" verità.
ma io questa verità
non l'ho richiesta
charlieboy

martedì 15 maggio 2012

la terra dei cachi

Attention please! Questo post contiene banalità imbarazzanti!

Che questa sia la terra dei cachi lo si era già capito. Già capito da un po'.
Questa terra che è da me profondamente amata, è una cosa in apparenza bella, ma in realtà controproducente. Inutile. Forse dannosa.
Io, qui ci sono nato e cresciuto.
E' qui che voglio vivere. E' qui che vorrei, in futuro costruire qualcosa, la mia vita, la mia famiglia, la mia casa, i miei figli, forse.
Forse un giorno lo farò. Però prima devo essere sicuro a ciò cui vado incontro.
L'occasione per parlare dell'Italia è sempre facile da trovare, l'occasione per parlarne male poi, ancora più lampante.
Ed è proprio quello che ho intenzione di fare! :(
Siamo un popolo di codardi, di vigliacchi, di paraculi.
La mafia qui ha attecchito bene perchè siamo tutti bravi, bravissimi a pensare da mafiosi.
La mafia, inteso come modo di pensare, c'è nella vita di tutti i giorni, nel "tenersi buono" questo o quello, nel fare buon viso a cattivo gioco, nel leccare il culo, nel paraculare o nel cercare di farsi paraculare, nel fare fuori gli avversari con il gioco sporco, nel voler rispondere sempre e comunque.
Nell'evitare cronicamente, costantemente e continuamente l'autocritica.
La colpa è sempre fuori, di qualcun'altro, del parente di qualcun'altro.
E anche se fosse così però, ci si troverebbe con le mani legate; perchè vuoi dire a qualcuno che è un "paraculo"? Oppure vuoi dire a qualcun'altro che è "paraculato"?
Cosa succederebbe?
Ecco.
Eccola qui la mentalità mafiosa.
Cosa succederebbe se parlassi?
Se dicessi quello che ho in testa?
E beninteso, non mi riferisco alla prima cosa che viene in mente, ma bensì, ai pensieri più scientifici, seri, ponderati, ragionati.
Tutti lo fanno questo discorso. Tutti se la pongono questa domanda.
La risposta?
Withdrawal.
Ritirata.
Lascia stare.
Non ne vale la pensa.
Non cambia niente.
Eccola qui, l'argomentazione più potente del mondo.
La rinuncia.
Rinunciare sempre.
Sempre e comunque.
Che tanto tu le cose non le cambi.
Non le puoi, ne le potresti cambiare.
Che ci sarà sempre un paraculo o qualche altro impedimento pronto a segarti le gambe.
Perchè prodigarsi in riverenze ed inchini è qualcosa che è ben di più di "galateo", ma bensì politica.
Quella dell'ammicare ad ogni costo, per ottenere chissà che o per "si sa mai che".
L'Italia è un luogo meraviglioso ed io la amo profondamente.
Amo la sua geografia e le sue botteghe di paese, amo la capacità della gente di saper fare delle eccezioni. Cosa straordinaria, che si perde andando verso il nord dell'europa. [Dove sembrano riposte le risposte più intime del significato di "civiltà" (ma io non ci credo).]
Tutto ciò però si schianta di fronte ad un modus operandi e ad una mentalità per la quale faremmo meglio ad estinguerci, a scomparire e a non tornare più.
In questi giorni ho sentito tanto parlare di "compromesso"; è la chiave di volta dell'età adulta, quello che avresti voluto lo devi ridimensionare, rimodellare, cambiare di nome,  mettere sotto sopra e voilà... il pranzo è servito.
E' davvero tutto così? Cosa vuoi di più ti senti dire?
Adeguarsi ed accontentarsi perchè "non si sa mai" o "tanto se non lo fai tu lo fa un altro" o "tanto non cambia niente". La logica dei cazzi nel culo.
Perchè se fai così, da qualsiasi parte ti giri, stai pur sicuro che qualcosa in culo ti arriva.
Eggià.
E poi il potere; qui si sbava per un minimo senso di "potere".
Impartire ordini. Pretendere "obbedienza".
Ma andate a cagare.
Il potere non mi interessa.
Anzi.
L'unico che mi interessa è Potere fare i cazzi miei.
Il mio tempo, su tutto.
Le cose che amo, su tutto.
Con il potere vi ci potete pure foderare le pareti del colon.
Massa di stronzi falliti.
C'è un detto che dice: "Comandare è meglio che fottere".
io preferisco fottere
charlieboy

sabato 12 maggio 2012

Coprofagia

Il re delle ritirate. Delle ritrattazioni.
Così mi sembra di essere rileggendo quello che ho scritto quasi una settimana fa'.
Il mio "naturale delay" colpisce ancora.
Dovevo aspettarmelo. E in un certo senso.
Me lo aspettavo :)
E' ritornato subdolo il figlio di puttana, con la non voglia di alzarmi dal letto, con il "buttare" nel cesso un mucchio di preziosissimi giorni di ferie.
Questa capacità di mantenermi su, nonostante tutto, sticazzi, non ce l'ho mai avuta.
Touchè...
Touchè un'altra volta .
Per le cose già rivissute.
Dinamiche lavorative che mi hanno segnato, più di quanto immaginassi nei primi giorni. Quando la botta era calda.
Adesso l'ematoma si è organizzato. La rabbia è passata ed è rimasta tutta la "mia autotutela", la mia modalità "standby" ovvero tutta la mia passività. Il mio modo di leccarmi le ferite, di sentire meno "dolore".
Allora la mia casa si trasforma in un cesso.
E via così.
Mi ha destabilizzato questa cosa lavorativa. Per tutta la falsità che si riesce a sviluppare. Per tutta la mancanza di onestà.
Cosa che, un minimo, mi era dovuta.
Frutto di non essere un leccaculo. E di non volerlo, a maggior ragione, essere.
Ho smesso di scegliere la strada in discesa da un po', ma questo non significa autoflagellazione, anzi, questo significa autoaccettazione.
Io sono così! Ce la fate a sopportarmi?
Io sono così, non fatemi la morale, se avete mangiato merda alla mia età, bè, io non la voglio mangiare.
Per la coprofagia ci vuole dedizione, passione e talento. Ed io, ne sono semplicemente sprovvisto.
Non ho intenzione di adeguarmi a "ciò che vogliono" altri.
Costi quel che costi.
Costi pure un periodo del cazzo così.
Di passività. E di nausea.
Ne ho già visti un sacco fare così:
1) leccare il culo
2) mangiare merda
3) ottenere ciò che volevano
4) lamentarsi perchè se lo sono presi nel culo. manifestandosi poi per come essi sono realmente.
Quattro passi in discesa secondo me. Quattro passi verso l'inculata cronica (per qualcuno eterna!).
E' così?
No grazie.
Sinceramente declino l'invito alla cena a base di cacca e me ne sto per i cazzi miei, ad accumulare rifiuti in casa (non è certo meglio) ma con la profonda autocoscienza che il mio fine, non giustifica l'adozione di biechi mezzucci per ottenere qualcosa che, forse non tra molto, non vorrò più.
Il mestiere che ho scelto, come tutti gli altri (temo!), è popolato da coglioni di siffatte dimensioni.
Senza la pretesa di essere la persona migliore del mondo, parlo con onestà e soprattutto non nascondo nulla a quelle persone che fanno del doppiogiochismo la loro "carta vincente".
Essere cristallino con questi individui, equivale già a prenderli a calci nel culo.
Però.
non mi basta
charlieboy

lunedì 7 maggio 2012

scatto d'anzianità

Novità.
Da dove cominciare?
Cominciamo dal lavoro. Dal fatto che a breve mi sposteranno. La comunicazione è arrivata dai piani alti.
Sembra che qualcuno/a si sia lamentato/a di me. A parte i pretesti addotti la cosa che mi ha veramente avvelenato è stata la mancanza di comunicazione.
Nessuno/a è venuto/a a parlarmi apertamente. Anche solo per cercare un dialogo che, a prescindere dei contenuti, avrei totalmente apprezzato.
Deluso parecchio da una persona che ho comunque sempre difeso/a.
A parte ciò sembra che nello scambio ci guadagnerò parecchio.
Vedremo. Ve ne parlerò :)
Ultima nota sul lavoro, ho ricevuto l'attestato di stima da un sacco di colleghi/e. E la cosa mi ha fatto un sacco piacere, oltre che commuovermi.
Una donnina invece la sto frequentando da un po'. Ci sto bene.
Mica male :)
Il blog ha staccato quota 1000 visite.
Non so com'è ma me l'ero "prefisso" come numero da raggiungere.
Numero raggiunto nel giorno del mio compleanno!
:)
Io sono sereno.
E' da un po' che l'ho costruita questa sensazione.
Motivi per destabilizzarmi?
Ce ne sono un sacco.
Ce ne saranno un sacco.
Vedremo.
E poi tanta boxe.
E tanti discorsi schietti.
Comincio a definire ciò che sono veramente.
Comincio a non avere più paura di ciò che sono
e questo
mi rende visibilmente contento
charlieboy

martedì 1 maggio 2012

deconnesso

Sono un po' incasinato.
Ho sbriciolato il notebook. In un accesso di rabbia l'ho polverizzato.
Era già malconcio e gli ho dato il colpo di grazia. Quello per non soffrire.
Adesso toccherà che me ne piglio uno nuovo.
Per ora scrivo un rapido post dalla mia casa natale e ciò significa che il silenzio del blog continuerà per qualche tempo ancora.
Non ho avuto molta voglia di scrivere, e infatti non l'ho fatto.
Meglio così.
Rischio di diventare noioso a ribadire concetti o nel cercare di trovare l'ispirazione.
Per quanto riguarda questo spazio (che è il mio blog) le cose ho deciso di affrontarle così, quando me la sento.
Senza forzature, senza sentirmi in dovere di o scrivendo qualcosa per far pensare bene o male di me.
Ecco.
Tutto qua.
Qualche idea per la testa è transitata ma non riesco ad afferrarle.
Niente di straordinario comunque.
Sono pieno di impegni e sono stanco.
Ho bisogno di ferie e tra breve, ci andrò.
Meglio così.
Il lavoro lo sto scontando negli ultimi giorni.
Di rabbia ogni tanto ne sento ancora. Chiedetelo al mio notebook.
Come sento la difficoltà di capire i rapporti con i altri esseri umani.
Come sento la difficoltà di tentare di gestire questi rapporti (sarà poi possibile?).
Ho la profonda e seria convinzione che alla fine siamo tutti dei perdenti.
La vera differenza si gioca sul piano temporale.
quando avrai abbastanza coraggio per accorgertene?
charlieboy


mercoledì 18 aprile 2012

Rhapsody in blue (something about boxing).

rapsodia: composizione a un solo movimento di carattere molto libero e variegato.

Mattina presto. Ore 6.30.
Non ho quasi chiuso occhio stanotte.
Troppa agitazione.
Ieri sera al boxing club sono finito KO per la prima volta.
[ce ne sarebbero state altri 2 negli anni a venire. Almeno per ora, ndr]
Non era mai successo. Ero lì, all'angolo neutro (quello colorato di bianco), il tizio di fronte mi pressava parecchio. Boxe d'aggressione.
Sfruttando le lunghe leve cercavo di tenermelo lontano.
Macchè, non funzionava molto ieri sera.
Il jab destro frustava l'aria, ma era lento, il tizio per stile pugilistico ed essendo anche più basso cercava la sua di misura.
Un'infame media distanza alla quale è impossibile sottrarsi ai colpi, alla quale è difficile legare.
Ai tempi il clinch sapevo poco cosa fosse, e allora mi trovavo a cercare di boxare in movimento.
Ma quella sera niente. Non girava un granchè. Gambe lente.
[Scoprii anni dopo che non era lo stile migliore per affrontare questo tizio, ndr]
Ecco allora che giravo con le gambe ma nulla, il tizio sempre lì, a pressare, a sbuffare, con quella sua brutta guardia scomposta.
Cercava la misura per il sinistro.
Mi sono trovato all'angolo neutro per l'appunto, lui accenna un diretto destro al volto, mi copro, e... bam... scoppia un diretto sinistro al plesso solare (alla stomaco).
Buio.
Luci spente, per un secondo, forse due.
Mi ritrovo per terra.
Non so come ci sono arrivato.
Respiro ansimante.
Niente dolore.
Com'è che sono qui?
Provo a rialzarmi.
Ecco adesso lo sento.
Adesso fa male.
Brucia.
Come la gastrite.
La gastrite causata da una bordata.
Stupore e spavento.
Ferito, non per il male allo stomaco.
Ma per l'umiliazione imposta.
Eccolo qui. Benvenuto nel pugilato.
Eccolo qui il senso.
Pugni e schivate, rabbia per qualcuno, passione per qualcun’altro.
Certo che se non accetti il "gioco" allora finisce che si vive davvero come un'umiliazione.
Quella sera è iniziato un percorso (non certo pugilistico) ma di profonda autoanalisi.
Archiviare queste parole come le solite stronzate sulla boxe?
Probabile.
Ma quella notte in cui non ho chiuso occhio per l'umiliazione è anche la stessa notte in cui decisi di prepararmi per affrontare il tizio dal sinistro inisidioso.
E allora la mattina, via a correre.
Ed eccomi qui. Ore 06.30. Fine Gennaio. Quest’inizio del 2008 non è poi così freddo.
Mi metto a correre come a scacciare via tutte le mie paure.
L’umiliazione, la ferita, quel vago bruciore che è rimasto allo stomaco.
Chissà cosa penseranno adesso in palestra?
Chissà quanto si sarà sentito “fico” il tizio dal sinistro insidioso.
Magari pensano che sono un babbeo…
E invece scopri che il pugilato è così. Prima o poi il culo per terra lo mettono tutti.
Chi soffre i colpi “sotto” mette giù il culo per un montante al fegato o un colpo al plesso solare.
Andare giù “alla milza” (cioè il fianco sinistro) è più difficile perché è un punto meno doloroso.
Anche vero il fatto che, se adeguatamente massaggiato si finisce ko anche per quello.
Chi invece mette giù il culo con il knockout classico, quello al mento. Il colpo che ti spegne le luci, che provoca questa sorta di “reset” del sistema per cui tecnicamente perdi conoscenza e ti svegli un bel po’ dopo.
A terra, con un gran bel mal di testa e, se sei proprio sfortunato con un gran male alla mandibola.
Il che significa che da li a qualche giorno farai pure fatica a mangiare.
E non è certo una cosa simpatica.
Eccola qui la boxe.
Anzi quello che c’è dietro. Quello che trova chi la pratica.
Quello che ho scoperto a mie spese.
Il dolore e il “dopo” di un ko non te lo racconta mai nessuno.
E’ sempre qualcosa di umiliante, su cui si preferisce voltare lo sguardo. Come se facesse troppo male ripensarci.
E invece è pensando a quello che si costruisce l’allenamento successivo.
Pensare a quello che non è andato, allenarsi per la tenuta atletica, per portare più colpi, per studiare la strategia giusta per quell’avversario.
Vedete, il pugilato si può fare in mille modi. I colpi da portare alla fine sono soltanto tre.
Ma dietro c’è un lavoro incredibile.
La boxe la puoi imporre, la puoi “subire”, puoi sfruttare i tuoi spostamenti per rientrare, puoi sfruttare i colpi dell’avversario per colpire di reazione, puoi usare le gambe per boxare, puoi usare il tronco, puoi usare la lunga distanza, ma se ti piace menare allora cerchi la media e la corta.
Puoi decidere di passare sotto i colpi e puoi decidere di allontanarti, puoi decidere di parare con i guanti oppure di schivarli di lato, puoi boxare a mani basse, ma non lo consiglio a nessuno, puoi boxare da mancino (come faccio io) o da destro, puoi tenere il braccio avanti basso, e puoi appoggiare i guanti sugli zigomi, come faceva il caro vecchio Iron Mike. Puoi avere un gancio sinistro in grado di decapitare un pony oppure decidere di puntare tutto sui diretti. Puoi usare il jab per punzecchiare l’avversario oppure puoi aggredirlo senza lasciargli (e senza lasciarti) un attimo di fiato. Puoi tenere il centro del ring e puoi girare come una trottola.
Nella boxe alla fine c’è tutto. C’è tutto per tutti.
Se sei alto e magro ti conviene boxare in un modo, se sei basso e grasso ti conviene boxare in un altro.
Nessuno è per forza ed inevitabilmente avvantaggiato.
Chiunque ha la possibilità di imporre il proprio stile.
Una cosa su tutte però, devi accettare il gioco.
E il gioco significa che i pugni si danno e si prendono, che ai pugni ci si va incontro e che i pugni, cosa che mi stupiva tanto all’inizio, bisogna guardarli, bisogna vederli.
La tentazione di strizzare gli occhi è molto forte e, di tanto in tanto si ripresenta. Specie quando latito da parecchio dal quadrato. Ritorna e allora via daccapo.
In un allenamento che non finirà mai. Non può finire mai.
La boxe è questo. E tanto altro ancora.
E’ per questo che è difficile smettere. E’ per questo assomiglia così tanto alla vita.
Perché il pugile, chiunque esso sia, risulta alla fine un perdente.
E a me i perdenti sono sempre stati simpatici.
Perché ci sarà sempre qualcuno più forte di te, qualcuno meglio preparato, qualcuno più motivato, o semplicemente più giovane che vorrà imporre il suo stile e che magari, per pura antipatia, ti vuole gonfiare di botte.
Ma non è mai un buon motivo per abbandonare o lasciare perdere. Semmai l’esatto contrario.
Impegnarsi, studiare la propria strategia e metterci la faccia (in tutti i sensi) nel cercare di costruire il risultato.
Eccole qua, tutte ste lezioncine imparate mettendo il sedere al tappeto.
Ed eccomi qui nel Gennaio 2008, a correre alle sei di mattina.
E nelle orecchie Radio Capital che come primo pezzo passa “Rhapsody in blue” di G. Gershwin.
Un inizio più epico di così non si può.
Modulo il ritmo della corsa e penso che se smettessi di fumare forse renderei di più.
E succederà anche questo nel 2008.
e tutto grazie alla boxe
charlieboy

mercoledì 11 aprile 2012

Sailing

Navigare in un mare di cacca è già di per se una condizione strana. Il mare di cacca è regolato da correnti troppo strane ed imperscrutabili per essere decifrate facilmente.
Navigare nel mare di cacca che sono i rapporti umani è poi cosa ancor più difficile.
Dispiegare le vele al vento e navigare leggeri (senza sollevare troppi schizzi) è cosa da funamboli.
Ci vuole un talento che non ho e quindi.. gli schizzi qui si sentono. Si avvertono.
E sono situazioni strane. Legate a ciò che l'umanità fornisce con sapienza e precisione, regolarmente.
La cattiveria, la frustrazione, il senso di rivalsa, di vendetta, l'invidia.
Coalizzarsi per affondarti e farti nuotare lì, dove tutti nuotano.
Non sono ne migliore, ne diverso, ma questa cattiveria (dalla quale non sono immune) cerco di non sfoderarla.
Non sono in cerca di alleanze e non sono in cerca di un bersaglio da affondare. Per poi, una volta trovato, cercarne un altro. Poi un altro. Poi un altro.
Una vita a vedere ciò che hanno gli altri.
La mia vita la voglio spendere a vedere quello che ho, o che posso dare io, con tutti gli errori che ciò comporta.
E' questo. E' Tutto qua.
Spiegare le vele al vento nel mare di cacca e cercare di non sporcarmi troppo.
Non è cercare il compromesso ma piuttosto cercare di non ferire le altre persone.
Almeno cercare di non ferire le persone che per me meritano qualche cosa.
E' un termine relativo lo so, ma qualcuno/a non merita proprio un cazzo se non la cruda verità.
Che non è una cosa che sa di vendetta, ma è una cosa che sa di realtà. E, in tutti i termini, è ben peggio di una vendetta.
Pagare il prezzo del biglietto e sedersi nel posto cui il biglietto è destinato.
Senza furbizie, senza prevaricazioni.
Aspettarsi ciò che si da, senz' altro, senza far lievitare il prezzo.
E' questo, e so di ripetermi spesso, il mio senso di giustizia, ciò che ritengo "giusto".
E' per questo che certi aforismi sono diventati "tristemente" famosi, legati a tutta la merda che i rapporti sociali sono in grado di produrre. La solitudine è anche sapere che il senso che le cose belle ci troviamo a viverlo da soli. Senza condivisione, se non per invidia, calcoli, doppio gioco o.. metteteci voi le parole perchè vi sarà capitato di sicuro.
La Alda Merini, che era stata in manicomio, e quindi, diceva un mucchio di cose sensate ha scritto questa cosa qua: "Non c'è niente che faccia più impazzire la gente del vederti felice".
E c'aveva ragione la Alda.  E per quanto vera, quest'affermazione non mi sembra per nulla normale.
Eppure il concetto di normalità (chiaramente di natura statistica) è questo. E le opzioni sono solo 2.
O adattarsi o no.
Alternative non ce ne sono.
Alla fine
è meglio così
charlieboy

venerdì 6 aprile 2012

A note on me. A note on masses

Il diritto di non appartenere a nulla.
La negazione della "socialità"?
Forse.
Ho pochi ricordi di momenti vissuti in "comunità", la mia storia è piuttosto un abbandonare un luogo dietro l'altro. Una situazione dietro l'altra. L'oratorio, la classe del liceo, i collegi universitari, i colleghi.
Voltare pagina e via così. Chiudere un libro ed aprirne un altro.
Nulla di più.
Qualcosa è rimasto tra i ricordi, ma nulla di così costante.
Niente di così solido, di così fottutamente presente.
Me ne sono sempre stato così, per i fatti miei, con la mia paura di farmi toccare, di vivere gli eventi.
Con la paura delle relazioni, con tutti. E di amicizia e sentimentali.
Paura di soffrire. Paura di stare male.
Paura di ma che te lo dico a fare.
Paura nel trincerarmi dietro intenti nobili, elevati.
Ma guardiamoci in faccia per un momento.
E' con quello sguardo sincero che ammetto che bluffavo, che non era vero, che avrei voluto le cose che volevano tutti.  Ero solo troppo impaurito o codardo, o tutte e due, per provarci. Per viverla alla leggera.
E invece niente. Le stronzate sono sempre stato bravo a raccontarmele.
Ma gli alibi no. Quelli ne ho sempre cercati pochi.
Ho sempre, forse troppo facilmente, puntato il dito su me stesso.
Come oggi, come adesso.
Le motivazioni per non lasciare traccia di me le ho sempre trovate facilmente, le chance per cambiare le ho giocate eppure sono sempre ritornato qui. Daccapo. Di nuovo.
Eppure non sono propriamente contento di ciò.
Ma come si fa' fidarsi? Come si fa' a fidarsi quando quello che penso, e che è ben visibile nei post precedenti,   sull' "umanità" e sulla "gente" salta fuori prepotentemente.
Ogni giorno, in quasi ogni ora ho l'occasione per accorgermene, per sentirlo quel fastidio di fronte a quelle cose banali, piccole ed insignificanti ma che, come il battito di ali di una farfalla sono in grado di generare un tornado a distanza.
E via così, con le mie fasi, con i miei up&down. Cerco gente, esco, faccio cose, poi basta, a casa, sul divano a leggere, a scontarlo il tempo, non a viverlo. E questo senza spiegazione se non le cose che ho già detto, mettere il muso fuori e trovare solo un mucchio di motivazioni per abbandonare, per lasciar perdere, che non ne vale la pena, che da perdere c'ho soltanto io.
E' un po' come boxare andare all'indietro, se indietreggi troppo però, non combatti più (cit. Million dollar baby). Ed è vero.
Potrei archiviare il tutto come giornata così così, ma non sono così stupido.
Dietro queste parole ci sono io e io, sono fatto così.
Difficile cambiare. Difficile cambiarmi.
Tentativi e miglioramenti ok, quelli ci sono stati, ma intimamente sono così.
Come quasi sempre succede, i paletti del recinto del mio inferno,
li ho piantati io
charlieboy

                       
- Una nota sulle masse - C.Bukowski


l'inferno privato reso pubblico 
spesso confonde i lettori:
si domandano come questo 
o quell'altro 
possano sopportare e 
continuare.
ebbene, ecco il segreto:
non aspettatevi troppo 
dall'Umanità.
l'odio è stato 
praticato 
per secoli, 
tramandato
raffinato e 
perfezionato.
oh, sono diventati 
molto bravi in questo - 
l'odio fiorisce 
con regolarità 
sempre più frequente, 
è il nostro inferno pubblico che crea un 
inferno privato e 
non c'è inferno 
eccetto che quaggiù sulla 
terra.
una volta accettata 
questa premessa 
sarete liberi di 
esistere
nei termini da voi stabiliti
e non conoscerete 
mai la solitudine
e la morte sarà un nonnulla.
consideratevi 
benedetti
nell'oscurità.