domenica 6 gennaio 2013

Il diritto alla felicità

Ricordo di averlo pensato e di averlo detto, ad alta voce, in presenza di testimoni: "penso di avere il diritto ad essere felice".
A ben vedere questo "diritto"
non esiste
charlieboy


Ma proprio sulla felicità, parola proibita, che non dovrebbe essere mai pronunciata, l'Illuminismo ha fatto il suo più grave e definitivo errore psicologico, una sorta di "norma di chiusura", per dirla come lo Zietelmann, che blinda il sistema nella sua paranoia. Ha proclamato il "diritto alla felicità".
Per la verità non è arrivato a tanto, ha sancito "il diritto alla ricerca della felicià" (pursuit of happiness), come sta scritto nella Dichiarazione di Indipendenza americana (1776). Ma a livello di massa questo è stato introiettato com e un diritto a essere felici.
Pensare che l'uomo abbia un "diritto alla felicità" significa renderlo, ipso facto e per ciò stesso, infelice. La sapienza antica era consapevole che la vita è innanzi tutto fatica e dolore, per cui tutto ciò che vi sfugge è grasso che cola.
"La vita oscilla fra noia e dolore" può affermarlo solo Schopenhauer, rentier già corrotto dal benessere. Per ribaltare ancora la battuta di Mefistofele: l'uomo occidentale volendo e cercando ossessivamente il Bene, anzi il Meglio, si è creato con le sue stesse mani, il meccanismo perfetto e infallibile dell'infelicità.
Ma questo cappio, questo nodo scorsoio, non ci siamo accontentati di stringerlo interno al nostro collo. Lo abbiamo esportato, e continuiamo ad esportarlo, con coerenza omicida, nell'universo mondo. Nulla deve rimanere "altro da noi".
- Massimo Fini "Sudditi" ed. Marsilio -





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